Il rapporto ISPRA sugli inquinamenti da “pesticidi”, che viene pubblicato nel 2018 ma che riguarda i ritrovamenti del 2016, prospetta cifre allarmanti, se viste nel complesso. Secondo questo rapporto, i pesticidi in Italia sono presenti nel 67% delle acque superficiali monitorate e superano i limiti di legge nel 24% dei casi. Sono quasi 400 le sostanze ricercate ma non in tutte le Regioni. In alcune zone del Sud non vengono neanche effettuati i rilevamenti. Nelle falde sotterranee, i pesticidi sono stati trovati nel 33,5% dei punti di rilevazione e superano i limiti nell’8,3%. Il glifosato – con il suo metabolita Ampa – registra il maggior numero di sforamenti dei valori di legge. Nel 2016, entrambe le sostanze risultano superiori agli standard di qualità ambientale per le acque (Sqa) previsti dalla norma, rispettivamente nel 24,5% e nel 47,8% dei siti monitorati per le acque superficiali. Degna di nota secondo gli esperti anche la presenza di altri erbicidi, come il metolaclor che supera i limiti nel 7,7% dei punti di monitoraggio, e del suo metabolita metolaclor-esa che tuttavia è ricercato solo in Friuli Venezia Giulia e supera i limiti nel 16% dei siti, nonché del quinclorac, superiore ai limiti nel 10,2% dei casi. Sempre a livello regionale, la presenza dei pesticidi interessa oltre il 90% dei punti delle acque superficiali in Friuli Venezia Giulia, provincia di Bolzano, Piemonte e Veneto, e più dell’80% dei punti in Emilia Romagna e Toscana. Supera il 70% in Lombardia e provincia di Trento. Nelle acque sotterrane è particolarmente elevata in Friuli 81%, in Piemonte 66% e in Sicilia 60%.
Ma Piemonte e Lombardia sono virtuosi
Il clamore mediatico provocato da questi dati nasconde altri dati. Innanzi tutto che l’annuario ISPRA, Stato dell’Ambiente, 78/2017 ISBN 978-88-448-0865-5, pubblicato a Dicembre 2017, in cui si illustra il quadro complessivo degli inquinamenti riscontrati nelle acque superficiali italiane, sottolinea come nel distretto idrico padano (Piemonte e Lombardia) la somma delle percentuali di corsi d’acqua classificati “buoni” e “sufficienti” raggiunga il 79%, il dato migliore di tutti quelli italiani, nonostante si tratti dell’area più densamente popolata della nazione.
Il capro espiatorio agricolo
Un altro aspetto controverso è la definizione di pesticida: tra le sostanze rilevate ve ne sono diverse che hanno un’origine domestica eppure vengono automaticamente assimilate all’agricoltura, come se fosse quest’ultima l’unica fonte di inquinamento. Chi cerchi di leggere le analisi delle acque riguardanti inquinanti di origine domestica o industriale e dei trasporti non può perchè risiedono in un’area riservata!
Un enorme pregiudizio
Altro aspetto dubbio del rapporto: al capitolo dei trasporti, c’è una premessa che ne ricorda l’indispensabilità, turismo compreso, nell’economia nazionale; il capitolo riguardante l’agricoltura inizia decantando la crescita dell’agricoltura biologica, evidentemente ritenuta unica fonte praticabile per l’alimentazione. L’agricoltura convenzionale (oltre il 95% della deficitaria produzione italiana) non è considerata strategica. Chiaramente le attività di monitoraggio e comunicazione sono ispirate da un programma politico che prevede un’agricoltura totalmente biologica, atta a nutrire i benestanti italiani e stranieri; gli italiani rimanenti, che stimiamo più dell’80%, si dovranno accontentare di cibo importato dall’estero (fino a che ne avranno da vendere) ed acquistato nei discount.
Pesticidi privilegiati
E’ accessibile al pubblico solo l’elenco completo degli inquinanti chimici ricercati, relativi a tutte le attività, con i relativi limiti massimi ammessi. Chi vuol leggerlo (Allegato 1) può rendersi conto del trattamento “di riguardo” riservato ai limiti destinati ai “pesticidi”, e se ha più tempo da impiegare, può confrontare sui database tossicologici ufficiali, utilizzando la classificazione CAS alla prima colonna, i rapporti tra i livelli di tossicità dei vari inquinanti e le dosi tollerate nelle acque.
Il caso del riso
Ma fermiamoci alla risicoltura. Confrontando (Allegato 2) i dati dei ritrovamenti nel Piemonte dal 2013 al 2015 con quelli recenti (riferiti al 2016, pubblicati in questo mese) si può osservare un dimezzamento dei campioni risultati irregolari, nonostante che siano stati inseriti 5 nuovi principi attivi, ed abbandonato solo uno. Le percentuali di sforamento per i prodotti autorizzati (e non) nella risicoltura piemontese presentano una media dello 0,94%, causata soprattutto da Glifosate + AMPA; senza questo, saremmo allo 0,16%, molto distanti dai dati divulgati. La strategia dell’Assessorato all’Ambiente del Piemonte di coinvolgere i sindacati agricoli e gli esperti dell’Università di Torino e dell’Ordine dei dottori agronomi in un gruppo di lavoro, che ha emesso norme pratiche condivise sull’utilizzo dei fitofarmaci, ha fin qui ottenuto ottimi risultati. Abbiamo volutamente considerato solo i campioni con ritrovamenti superiori ai limiti di legge (0,1 μg/l), pari allo 0,0000000001 %, molto rigorosi rispetto a quelli ammessi per sostanze estremamente tossiche di altra origine. Il voler sbandierare i ritrovamenti delle concentrazioni inferiori a quelle ammesse dalla legge, del tutto insignificanti dal punto di vista tossicologico, non pare corretto dal punto di vista scientifico ed etico. Altrettanto si può dire della pubblicazione dei ritrovamenti del glifosate aggregati a quelli del suo metabolita AMPA, che si forma anche dalla degradazione dei detersivi domestici, attribuendoli esclusivamente alle attività agricole. Come sempre, la realtà assume aspetti diversi secondo il punto di vista di chi la osserva, che è di solito guidato dalla sua forma mentis, e non di rado da interessi particolari: attualmente, la politica finanzia esclusivamente le ricerche a carattere ambientale, mentre la sperimentazione per migliorare l’agricoltura convenzionale langue. Autore: Giuseppe Sarasso