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IL NEMICO QUATERNARIO

da | 29 Lug 2016 | Non solo riso

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cantu-tosoniFrançois Quesnay, economista e naturalista francese del Settecento, sosteneva che l’agricoltura è il solo settore che consente un aumento reale della ricchezza. Ciò valeva in particolare per la Francia nella quale l’agricoltura era caratterizzata dalla grande frammentazione della proprietà della terra, usava tecniche di coltivazione medievali, causa della lunga carestia durata 12 anni, premessa della rivoluzione francese. Per contro, l’Inghilterra aveva dato grande impulso alla coltivazione dei cereali, all’allevamento del bestiame con tecniche moderne basate sulla rotazione delle colture, grandi aziende, lunghe affittanze, aratro di ferro, tanto da diventare grande esportatore di cereali.

Quesnay considerava gli agricoltori come gli unici lavoratori produttivi, mentre i mercanti, gli artigiani e le professioni liberali erano ritenuti settori sterili, non produttori, ma soltanto distributori e trasformatori di ricchezza.

Inoltre, riteneva che lo Stato dovesse astenersi il più possibile dall’intervenire nell’economia e lasciare che essa fosse regolata dalle “leggi di natura”, perché le imposte gravanti sui produttori impoverivano loro stessi e di riflesso tutte le classi sociali. Idee non peregrine ma superate dalla storia.

Infatti, si sviluppò poco dopo la rivoluzione industriale con la scoperta della macchina a vapore, del carbone quale combustibile, della tessitura industriale e conseguenti problemi sociali, e lo scozzese Adam Smith, “il primo economista dell’età moderna” teorizzò il concetto secondo cui è il mercato, ossia la concorrenza, il luogo nel quale gli interessi dei singoli possono cooperare per il benessere della società e il valore economico è creato dall’industria che trasforma il lavoro in merce. Da allora l’industrializzazione contese il primato sull’agricoltura.

Perché questa lunga premessa alla centralità dell’agricoltura quale settore produttivo primario? Perché lo sviluppo delle attività dell’uomo ha portato a distinguere il settore primario che soddisfa la necessità prima dell’uomo, la nutrizione, da quello secondario che annovera le attività di carattere industriale a qualunque livello, dall’impresa artigianale alla grande industria, e le attività terziarie che offrono servizi in senso lato per la vita dell’uomo e per l’esercizio delle altre, quindi commercio, trasporti, informazione e attività intellettuali.

Tuttavia, la distinzione fra le tre categorie oggi non è così netta e non è più tanto attuale, almeno nei paesi avanzati. Siamo in un’epoca post-agricola, basta vedere il set-aside che vieta di produrre, e post-industriale, basta vedere come la magistratura condiziona la grande industria, nella quale, ci ricorda il prof. Paolo Sequi chimico e Direttore dell’Istituto per la Chimica del Terreno del CNR, gli agricoltori sono meno del 5% della popolazione attiva, gli occupati nell’industria sono fra il 25 e il 30%, i disoccupati sono il 12. E il resto della popolazione? Tutti operano nel terziario, ma anche qui si distinguono le attività produttive da quelle parassitarie.

A ragion veduta si può introdurre una nuova categoria: le “attività quaternarie”. Sono quelle che vivono a spese delle altre, a volte vincolano e distruggono le altre attività. Sono fondate su azioni obbligatorie previste da leggi semisconosciute siano esse europee, nazionali o regionali, e per le quali non conta il prodotto, ma la sola finalità è il processo. In capo a queste attività è l’onnipotente e onnipresente burocrazia, un mostro che vive macinando l’acqua. Ma c’è altro, suggerisce il prof. Sequi: di fronte a meno di due milioni di agricoltori impegnati nel primario, vi sono ormai quasi due milioni di politici, onorevoli, sindaci, presidenti e consiglieri ad ogni livello, portaborse, decine di sindacalisti a tempo pieno. È difficile conoscere le attività e le competenze delle autorità internazionali, comunitarie, statali, regionali, provinciali, comunali, circoscrizionali, di bacino, delle comunità montane, che a volte si sovrappongono e sempre a carico del contribuente che produce e lavora.

Nel nostro settore molte attività del quaternario hanno per scopo la protezione della natura, la difesa dell’ambiente, ma in molti casi si ritorcono contro la natura stessa e gli attivi che operano nella natura quali gli operatori agricoli. L’agricoltura con un numero ridotto di addetti, con inesistente pressione politica, è pressata da mille vincoli e regolamenti, mentre la classe politica gode di mille poteri e vitalizi.

L’oscurità delle leggi è amica delle attività quaternarie; basta leggere, se si riesce, un provvedimento legislativo, poi le circolari interpretative, per rendersene conto. Le attività quaternarie sono spesso amiche del fondamentalismo ambientale e prendono di mira le attività agricole per limitarle e condizionarle, ritorcendosi su coloro che potrebbero difendere l’ambiente.

Il suolo, ad esempio, è il depuratore naturale dell’ambiente ma sul suolo e sulle sue colture agrarie si costruiscono decine di leggi, vincoli e imposte e burocrazia: ad esempio i 27 documenti necessari per produrre una bottiglia di vino.

Per ricapitolare: accanto al settore primario che produce ricchezza sotto forma di beni materiali, cibo e materie prime, a quello secondario che li trasforma e al terziario, settore di servizi alla produzione e al consumo, è sorto il settore quaternario, quello che inventa problemi inesistenti, suggerisce soluzioni spesso ingannevoli che causano problemi reali per i quali occorre una cascata di altre regole e a volte sviluppa attività economiche per la soluzione dei guasti creati.

Tutto ciò con buona pace del contribuente chiamato a sacrifici e vincoli alla propria libertà per finanziare il quaternario, settore fluido, furtivo, parassitario. Il buon senso non ha più casa. Autore: Ettore Cantù, presidente della Società Agraria di Lombardia (in piedi nella foto piccola)

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