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IL NEMATODE MINACCIA IL 9% DEI RACCOLTI

da | 24 Nov 2017 | Tecnica

nematode

Il Convegno sul tema “I nematodi nel Nord Italia: sfide ed opportunità”, organizzato il 22 novembre dalla SIN (Società Italiana di Nematologia) presso l’auditorium Testori di Regione Lombardia ha permesso a studiosi, tecnici ed operatori di fare il punto della situazione su quella porzione di universo rappresentata da questi organismi apparentemente semplici da un punto di vista morfologico, eppure così complessi da un punto di vista biologico, anche per i danni che possono arrecare nelle loro forme parassitarie (si stima che circa il 15% delle produzioni agricole dei PVS e quasi il 9% di quelle dei Paesi industrializzati vada perduto per effetto dei nematodi).

A fare da filo conduttore alle relazioni della mattinata è stata la necessità di alzare il livello di attenzione verso le numerose specie “aliene” che si vanno diffondendo anche per effetto della globalizzazione degli scambi e dei trasporti di merci e persone. Un problema che non riguarda solo i nematodi, ma una vasta gamma di organismi viventi potenzialmente nocivi (dagli insetti, alle crittogame, fino alle piante), su cui i Servizi Fitosanitari europei saranno a breve chiamati a considerare nuovi criteri di valutazione del rischio fitosanitario nell’ ambito dell’evoluzione normativa che porterà nel 2019 ad un nuovo regime fitosanitario a livello comunitario,  illustrato da Beniamino Cavagna del Servizio Fitosanitario della Lombardia.

Tra le situazioni di allarme attualmente oggetto di attenzione un ruolo purtroppo rilevante è rivestito da nematodi che attaccano la pianta del riso. In specie, desta preoccupazione l’accertata presenza  di focolai di Meloidogyne graminicola (foto grande) in alcune risaie piemontesi, di cui Riso Italiano ha riferito sin dalle prime segnalazioni (http://www.risoitaliano.eu/nematode-galligeno-in-baraggia/ , http://www.risoitaliano.eu/caccia-al-nematode-galligeno/   ). Secondo quanto illustrato da Alba Cotroneo e Loredana Carisio del Servizio Fitosanitario del Piemonte nei terreni in cui è stata riscontrata la presenza del nematode galligeno sono state avviate pratiche per tentare l’eradicazione, peraltro non semplice, di Meloidogyne graminicola. Alcuni appezzamenti lasciati privi di coltura a norma di DM del 6 luglio 2017, sono stati sottoposti a sommersione continuativa sin da  dicembre 2016, e ad interventi di diserbo chimico e meccanico (purtroppo non del tutto risolutivi) per eliminare le infestanti potenziali ospiti del parassita. In un appezzamento, che occupa un area di circa 7,5 ha (su 19 ettari di area in cui nel 2016 è stata accertata la presenza del nematode galligeno), si sono sperimentati sovesci con colture biocide (purtroppo condizionati da gelate che ne hanno parzialmente compromesso l’efficacia) e tecniche di fumigazione, prima di procedere alla sommersione continuativa, che appare uno strumento utile a contenere la proliferazione del parassita. L’attività di monitoraggio, estesa anche alla Lombardia ed all’ Emilia, non ha segnalato altri focolai  in territorio lombardo ed emiliano oltre che nelle provincie di Novara e Alessandria, mentre non sono ancora terminati gli screening su Vercelli e Biella (l’area focolaio è localizzata a cavallo del confine amministrativo tra le due provincie). I dati esposti dal SFR-Piemonte, pur indicando una significativa riduzione della presenza del parassita nel suolo nel corso del 2017, non consentono di abbassare la guardia su una specie “aliena” (almeno per l’ambiente di risaia italiano ed europeo) ma potenzialmente molto pericolosa.

Fondamentale appare evitare l’espansione dell’infestazione attraverso adeguate misure di profilassi. Cosa non semplice se si pensa che Meloidogyne graminicola si “sposta” con particelle anche minime di terreno o di materiale vegetale infetto. Il citato Decreto Ministeriale del Luglio 2017 impone la pulizia delle attrezzature agricole e delle calzature degli operatori  (cosa non del tutto semplice, specie in presenza di macchine agricole complesse e di terreni talvolta tenaci) con deposito del materiale di lavaggio nei terreni in cui è già accertata l’infestazione. Ma la legge non può impedire la propagazione accidentale del parassita attraverso la fauna selvatica (uccelli acquatici, nutrie, cinghiali) che potrebbe essere un vettore di infezione anche su lunghe distanze dall’area focolaio…

Un’altra specie di nematode tipica del riso, su cui ha riferito Giovanna Curto del SFR emiliano, è stata segnalata in Emilia-Romagna sin dal 2013 (in comune di Bosco Mesola su una superficie molto modesta)  e recentemente in Lombardia (comune di Noviglio su superfici più rilevanti). Si tratta di Heterodera elachista, un nematode cisticolo che peraltro nei focolai segnalati in Italia ha attaccato mais e frumento e non riso. Nel caso di Bosco Mesola la coltura di riso più prossima si trova anzi ad una trentina di km di distanza, mentre a Noviglio le risaie sono molto più vicine all’area focolaio, anche se il monitoraggio sinora condotto sulle risaie più prossime ha fortunatamente restituito esito negativo. Anche in questo caso si è proceduto con il divieto di coltivazione di specie ospiti (riso, mais e frumento) e, nel caso del focolaio romagnolo, con rotazioni e fumigazioni con 1,3dicloropropene con autorizzazione di emergenza che hanno consentito al SFR dell’ Emilia di dichiarare nel 2017 l’eradicazione del nematode dall’area interessata.

D’altro canto l’allarme destato dai nematodi terricoli rischia di far scendere l’attenzione rispetto ad Aphelenchoides besseyi (white tip nematode) la cui presenza in risaia, dopo alcuni anni di relativa tranquillità, sembra far registrare una recrudescenza. Un fenomeno forse correlato al crescente uso di semente non certificata proveniente da reimpiego aziendale in atto da qualche anno in ambito risicolo (e non solo), essendo in questo caso la semente a far da vettore per la diffusione del parassita . In effetti il richiamo all’uso di materiale di moltiplicazione e propagazione sano e certificato come fondamentale misura di profilassi (non solo contro i nematodi) appare doveroso, oltre che tecnicamente ineccepibile, anche se non semplice da applicare in pratica. Specie quando si amplia come avvenuto negli ultimi anni la forbice tra il “costo-opportunità” dato dal reimpiego aziendale come semente di risone dal valore di mercato molto basso ed il crescente costo effettivo della semente certificata.

In un contesto in cui i nematodi possono rappresentare una seria minaccia appare opportuno richiamare i risicoltori, oltre che all’attuazione di misure di profilassi (che iniziano appunto dall’uso di materiale di propagazione sano), anche all’osservazione ed alla segnalazione di eventuali sintomatologie sospette. In particolare sintomatologie aspecifiche che si manifestano con  ingiallimenti e clorosi diffuse o a chiazze e deperimenti della coltura apparentemente ingiustificati debbono destare qualche sospetto ed indurre alla segnalazione ai tecnici del Servizio Fitosanitario competente. In ogni caso, i nematodi parassiti sono organismi di difficile controllo. Per combatterli efficacemente serve un approccio integrato che contempli il ricorso a misure di tipo agronomico, fisico, biologico, oltre che al mezzo chimico qualora efficace, disponibile ed autorizzato. Serve anche una integrazione di competenze e di professionalità (dal biologo molecolare fino all’ agricoltore passando per il nematologo e l’agronomo) comunque sempre utile nel complesso ambito della difesa fitosanitaria. Autore: Flavio Barozzi, dottore agronomo

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