Mauro Tonello, classe 1960, non è soltanto un risicoltore di Codigoro, nel Ferrarese, ma è anche presidente di Sis (Società Italiana Sementi), pastificio Chigi, Cai (Consorzi Agrari D’Italia) ed Eurocap Petroli. Insomma, un risicoltore in grado di vedere oltre la risaia e aiutarci a capire quanto sta accadendo.
Sembrerà strano parlare di speranza in questi giorni di Covid 19, eppure partiamo proprio da questo punto: cosa possiamo sperare?
Ad oggi è corretto parlare solo di auspici. Io mi auguro innanzi tutto che questa drammatica esperienza possa portarci ad apprendere qualcosa. Le porto l’esempio delle mascherine: negli ultimi anni abbiamo pensato di produrre in Cina questo prodotto, per risparmiare qualche centesimo, finendo per vederlo bloccato in Francia e Germania nel momento del bisogno. Se quelle mascherine fossero state cibo sono certo che, come non sono arrivate le prime, tanto meno sarebbe arrivato il secondo, ancor più indispensabile. Mi auguro che questa esperienza “pratica”, su cosa comporti un momento di crisi globale, possa insegnarci a prevenire questi problemi, essendo qualcosa di vissuto e per questo comprovato e non discutibile. Bisognerà pensare maggiormente ad essere autosufficienti e a non valutare le differenze di qualche centesimo tra prodotti nostrani ed esteri; questo, per noi agricoltori fa una gran differenza, dovendo fronteggiare costi di produzione ben diversi da altri Paesi, mentre al momento del consumo spesso risultano ininfluenti, perché il prezzo livella tutto. Auspico dunque che le aziende che si occupano della distribuzione alimentare riflettano su questo punto e cerchino di sostenere maggiormente il Made in Italy.
Ma ci crede?
Ecco, non sono così tranquillo che ciò avvenga, poiché siamo parte di un sistema che si rende conto delle sue falle solo quando queste hanno causato qualche disastro, mentre qui si sta parlando ancora di una strategia di prevenzione per scongiurare un possibile crollo del nostro mercato alimentare, e di conseguenza della nostra agricoltura, che in questa fase ha tenuto. Ripeto il concetto. Ancora oggi, in piena pandemia, da noi agricoltori ci si aspetta che produciamo bene, essendo saggi nel governare i nostri processi produttivi e attenti all’ambiente al territorio, ma nello stesso tempo non viene tutelata la nostra possibilità di fare impresa, prediligendo merci estere in virtù di una tutela del consumatore per il quale la differenza è, in realtà, di qualche centesimo al momento dell’acquisto al dettaglio. Mi auguro che questo orientamento, dettato per lo più dal settore della distribuzione, possa cambiare al più presto.
Cosa ne pensa il consumatore?
I consumatori negli ultimi anni dedicano alla spesa alimentare una parte sempre minore del loro portafoglio, utilizzando i danari per l’acquisto di beni superflui, dimostrando come non sia una loro bisogno questa ricerca di cibo a sempre minor costo (che è un’eredità del consumismo, ndr) e che qualche centesimo non fa la differenza. Spero che gli animi si scalderanno un po’ di più quando sarà l’ora di discutere nelle sedi istituzionali questi argomenti e prendere decisioni, senza lasciarsi trasportare dai mercati globali che ci hanno ubriacato con le loro “lezioni” di economia e poi hanno distrutto salute, economia e territorio in modo profondo.
Qual è la colpa della Gdo?
La grande distribuzione organizzata ha peccato di poca collaborazione in questa occasione, non essendo scesa in campo per sostenere in modo adeguato le imprese italiane da cui si rifornisce. In questo senso le parlo anche come presidente del pastificio Ghigi, nella cui veste mi sono visto comunicare da alcune catene distributive l’impossibilità di modificare i prezzi della pasta, nonostante la forte crescita nei costi delle materie prime (farine e semole), mentre tre hanno accettato. Ritengo che non sia giusto far annegare le imprese di produttori solo per potersi fare belli sulle loro spalle con i consumatori, tecnica adottata da alcuni noti rappresentanti della GDO.
In questo scenario che sarà del riso italiano?
Ho letto su Risoitaliano l’intervista al presidente di Airi, Francese, il quale ventila un futuro calo dei prezzi. Auspico e credo che ciò non debba accadere, soprattutto riguardo alle varietà superfini da risotto, perché, come detto, il mercato non lo chiede. Su queste varietà credo che non vi sia stata una crescita vera e propria delle quotazioni ma solamente un riallineamento ad un prezzo sostenibile per i costi produttivi. A 35 €/q ci si rimette dei soldi a coltivare risi che hanno un potenziale produttivo di 55/60 q/ha; dunque questi prezzi dovrebbero essere abituali per certi comparti, altrimenti si rischia di affossare le imprese che si impegnano nella loro produzione. E non conviene neanche agli industriali.
Parlando delle semine 2020, che previsioni fa?
Dai dati raccolti, chiaramente ancora da verificare nella pratica, sappiamo che ci sarà un incremento nella produzione di risi tondi ed una probabile carenza di superfini. Ritengo che uno strumento che potrebbe portare ad una crescita nell’investimento di superfici in queste varietà possa essere l’introduzione dei contratti di filiera, per cui Coldiretti si sta battendo da tempo, trovando spesso una porta chiusa da parte delle riserie. Questi accordi dovrebbero essere stipulati, a mio modo di vedere, non solo su base annua ma anche biennale o più, per tutelare al meglio tutte le parti in causa (produttori, trasformatori, distributori e consumatori) che potrebbero lavorare con maggiori certezze. In particolare, dal nostro punto di vista di agricoltori, sarebbe più semplice continuare a produrre le varietà da interno se non fossero soggette alle forti oscillazioni che abbiamo vissuto negli ultimi anni (da 70 a 35 €/q in poco tempo per poi risalire a 50), potendo anche programmare investimenti importanti, necessari in una azienda agricola, che spesso si ripagano in decenni. In questo senso rivedrei anche la struttura dei contributi Pac, che, cambiando ogni 7 anni, non sono in linea con i nostri orizzonti temporali sugli investimenti.
Si discute proprio in queste ore della Pac: prevede vantaggi o rischi?
Sono molto timoroso per la nostra risicoltura, poiché se si cercherà di far convergere l’aiuto a lei dedicata con quello destinato ad altri tipi di colture, che hanno minori richieste di investimento economico, si finirà per renderla insostenibile. Bisognerà stare attenti affinché nella nuova riforma ci sia quell’attenzione di cui necessita la nostra coltivazione, elemento che finora non è mai mancato, per mantenere il nostro comparto vivo e con quel minimo di competitività che ad oggi abbiamo.
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