«Marbour ha sempre tentato di acquisire una riseria italiana, perché l’Italia è il Paese leader in questo settore, e ora ce l’abbiamo fatta» Giuseppe Testa (foto piccola) è il direttore generale della Gariboldi Spa, fino a ieri fiore all’occhiello di Colussi. Da qualche settimana questo fiore è passato sulla giacca di Jean Bourdillon, il patron della società che nel 2015 ha realizzato un giro d’affari di 296 milioni di euro. Oggi il gruppo francese possiede il 50% della riseria di Valle Lomellina (Pavia), specializzata nella produzione di bianco e parboiled, ma gradualmente ne acquisirà completamente la proprietà. Lo stabilimento lomellino è dunque destinato a entrare definitivamente nell’orbita dell’industria risiera transalpina, mentre il marchio Flora resterà ancora tra le referenze di Colussi, peraltro vocato al mercato dei biscotti e dei prodotti a base di farine. In quest’intervista, Testa analizza la situazione del mercato risiero.
Conviene investire in Italia malgrado la crisi, o proprio perchè c’è crisi?
Conviene, se ci si prefigge, come fa Marbour, di essere leader; e chi ha stabilimenti da 110mila tonnellate in Olanda, 60mila in Polonia, in Canada, nel Regno Unito, senza contare la Francia, non può essere assente dall’Italia. Per questo è stata acquista Gariboldi, oltre a Cerealfood, un’azienda torinese che produce gallette di riso.
Meglio lavorare indica o japonica?
Il mercato dell’indica è nel bel mezzo di una tempesta. Se fosse passato, come auspicavamo, il piano dell’Airi di assegnare l’aiuto accoppiato a questo riso, la produzione italiana non si troverebbe in questa grande incertezza.
Che però ricade sugli agricoltori, più che sull’industria…
Nell’immediato è così, ma ricordi che noi dobbiamo competere con l’industria risiera del Nord, che ha costi minori dei nostro, e con importazioni di riso che arrivano sempre più spesso allo stadio di prodotto confezionato, mentre una volta entrava in Europa solo riso semigreggio.
Parliamo di costi. Quanto incide il trasporto?
Indicativamente, il dieci per cento, intorno ai 50 euro a tonnellata. E’ il motivo per cui l’industria risiera italiana desidera che si produca il più possibile qui.
Siete disposti a pagare il giusto per il riso indica?
I margini sono risicatissimi ma l’indica sta apprezzandosi: oggi lo si quota 320 euro, iva inclusa, alla tonnellata di risone, ma i risicoltori non vendono a 350. Il prodotto importato costa 300-320. Consideri che il riso parboiled ha costi aggiuntivi che pongono ulteriori problemi di competitività: arriva parboiled extracomunitario a prezzi stracciati! Inoltre, altro dato su cui si riflette poco, il flusso delle importazioni è praticamente inesauribile e l’Europa sta preparandosi a concedere nuovi sconti daziari ai Paesi asiatici e agli Usa.
A questo punto, è inevitabile che in Italia ci si concentri sui risi da mercato interno. Prevedete un crollo delle quotazioni di quelle varietà?
Spesso si commette l’errore di paragonare i due mercati: invece, come ho detto, quello dell’indica è immensamente più grande e non è possibile ragionare in termini di vasi comunicanti. In questi mesi abbiamo visto che un disinvestimento nell’indica comporta un aumento delle superfici di japonica, ma abbiamo visto anche oscillare le quotazioni di altri risi, a partire dai Lunghi A da parboiled. Anche il tondo è in crescita, ma il mercato del sushi e delle gallette non può assorbire più di tanto… Certamente, un aumento delle superfici di Arborio e Carnaroli comporterà un aumento sensibile dell’offerta in presenza di un mercato che non è altrettanto in espansione, ma se vogliamo parlare della prossima campagna credo che ruoterà ancora intorno alle importazioni di indica: possono crescere ancora e questo rappresenta il nostro principale problema, come industriali e come filiera.