I trattamenti a base di alcuni fungicidi danno luogo alla presenza di residui nella granella ma la sbramatura del riso comporta la loro completa rimozione. Anche quando Il processo di parboilizzazione determina una migrazione delle due sostanza ad azione fungicida negli strati più interni della cariosside, le concentrazioni che si rilevano nelle granelle parboiled (riso semigreggio e bianco) risultano simili a quelle del risone di partenza, comunque di gran lunga inferiori ai limiti massimi consentiti. Lo appura lo studio “Residualità nella granella e comportamento ambientale dei principali agrofarmaci impiegati nella difesa del riso” realizzato per l’Ente Risi da Stefano Afric, Marco Romani, Eleonora F. Miniotti, Daniele Tenni e Gianluca Beltarre, che hanno potuto giovare della collaborazione del Professor Aldo Ferrero, dell’Università di Torino. Questo gruppo di ricercatori ha voluto dimostrare una volta di più come la risicultura italiana utilizzi, in modo responsabile, agrofarmaci poco impattanti, allo scopo di ottenere produzioni di elevato livello qualitativo in grado di soddisfare le esigenze dei consumatori, sempre più attenti alla sicurezza sanitaria degli alimenti e all’adozione di tecniche produttive a contenuto impatto ambientale. Con questo obbiettivo l’Ente Nazionale Risi ha intrapreso, dal 2017, una campagna di monitoraggio, a scala di campo, con lo specifico obiettivo di comprendere il comportamento residuale nella granella e nelle piante di riso, nel suolo e nelle acque degli erbicidi e fungicidi più comunemente utilizzati in risicoltura.
I livelli massimi
I livelli massimi di residuo ammessi per ciascun agrofarmaco nel riso pronto per il consumo sono stabiliti dal Regolamento comunitario (CE) 396/2005 mentre, per quanto riguarda la qualità delle acque superficiali e profonde, si fa riferimento alla Direttiva europea 2000/60/CE, che stabilisce Standard di Qualità Ambientale espressi come valore medio annuo pari a 0,1 µg/L per ogni singola sostanza attiva e a 1 µg/L per la somma delle sostanze attive presenti. Sono stati analizzati gli effetti dei formulati contenenti le seguenti sostanze attive: nel 2017, azoxystrobin e difenoconazolo (Amistar® Top), quinclorac (Facet® SL, ammesso in deroga in quell’anno ai sensi dell’art. 53 del Reg.1107/2009); nel 2018, oxadiazon (Ronstar® FL), cycloxydim (Stratos Ultra®), formulati a base di glifosate; nel 2019, imazamox (Beyond® Plus) e profoxydim (Aura®).
Lo studio
I trattamenti a base di azoxystrobin, difenoconazolo e quinclorac hanno dato luogo alla presenza di residui nella granella. Residui di azoxystrobin e difenoconazolo sono stati rilevati esclusivamente nel risone ma, appare importante sottolineare, la sbramatura del riso ha sempre comportato la completa rimozione dei residui. Il processo di parboilizzazione ha determinato una migrazione delle due sostanza ad azione fungicida negli strati più interni della cariosside, tuttavia le concentrazioni rilevate nelle granelle parboiled (riso semigreggio e bianco) sono risultate simili a quelle del risone di partenza, comunque di gran lunga inferiori ai limiti massimi consentiti. Residui di quinclorac sono stati riscontrati nel risone a concentrazioni variabili e in un solo campione di riso bianco alla concentrazione di 0,01 mg/kg. In seguito alla parboilizzazione non è stato notato un trasferimento della sostanza attiva nelle parti più interne della cariosside. Le concentrazioni rilevate sono risultate di gran lunga inferiori rispetto ai limiti normativi di 5 mg/kg (Reg. UE 899/2012). Per quel che riguarda i tessuti della pianta, residui di oxadiazon sono stati riscontrati in 4 dei 6 campioni di piante prelevati in botticella e in 3 dei 6 campioni prelevati alla raccolta. In un campione di fusto, raccolto a maturazione, è stata riscontrata una positività al glifosate.
Il terreno
Circa i suoli di risaia, residui di oxadiazon sono stati riscontrati in 4 dei 6 campioni prelevati prima del trattamento, dovuti probabilmente a passate applicazioni. Tale risultato corrisponde a quello riscontrato in precedenti studi, che riportano una certa persistenza dell’erbicida (EFSA, 2010; Ferrero et al., 2016). Oxadiazon ha fatto rilevare la sua presenza anche in 5 dei 6 suoli prelevati al momento dell’asciutta finale, con valori compresi tra 0,01 e 0,04 mg/kg, prossimi al limite di quantificazione della sostanza (0,01 mg/kg). Riguardo al glifosate, sono stati riscontrati residui in 7 dei 10 campioni di suolo prelevati prima del trattamento, derivanti, presumibilmente, da precedenti applicazioni. Tutti i campioni di terreno prelevati prima del trattamento con questo erbicida hanno fatto registrare la presenza del suo metabolita AMPA. La persistenza del glifosate nel suolo, (EFSA, 2015), è strettamente collegata all’attività microbica, a sua volta influenzata dalla temperatura e dall’umidità. La reazione tra questi due fattori e la persistenza è, tuttavia, inversa, dunque vi sono maggiori quantità di residui con la riduzione della temperatura e dell’umidità, inoltre, in condizioni anaerobiche, il metabolita AMPA è considerato più persistente del glifosate stesso (Bento C.P.M. et al., 2016). Tutti i dieci campioni di suolo prelevati dopo il trattamento erbicida hanno evidenziato la presenza di residui di glifosate e AMPA, riscontrando valori sempre simili o superiori a quelli rilevati prima del trattamento.
Le acque
La parte più delicata dello studio ha riguardato le acque. Nell’ambito delle sostanze analizzate, profoxydim non è mai stato rilevato nelle acque di risaia mentre cycloxydim è risultato presente soltanto nei primi giorni dopo il trattamento, a livelli di concentrazione poco superiori ai limiti di quantificazione. Tutte le altre sostanze considerate nello studio, seppur presenti, hanno fatto registrare, nelle prime due settimane dopo la loro applicazione, una riduzione delle loro concentrazioni nell’acqua pari a circa un ordine di grandezza. Si è dimostrato un caso particolare il comportamento nell’acqua di glifosate e AMPA, in relazione alle diverse modalità di semina della coltura. Durante il periodo che precede la sommersione, nella semina interrata, il glifosate ha dimostrato di andare incontro a un processo di degradazione, liberando il suo metabolita AMPA . Nel caso della semina in acqua, invece, il glifosate ha dimostrato una sua maggiore stabilità, causando una minor degradazione in AMPA. Riassumendo, i dati raccolti durante lo studio si sono dimostrati rassicuranti circa l’effetto dei prodotti fitosanitari, maggiormente utilizzati, in materia di residualità in risaia. A dimostrazione di ciò, riguardo ai residui nel riso semigreggio, bianco e parboilizzato, si possono riportare solo buone notizie, a conferma della salubrità della nostra risicoltura per il consumatore, infatti non si osservano residui di alcun tipo nel bianco e nell’integrale (unico riscontro è stato relativo a quinlorac, principio attivo non più in utilizzo nelle nostre coltivazione) mentre, in seguito alla parboilizzazione, sono stati ritrovati residui dei principi attivi presenti nei fungicidi ma le concentrazioni riscontrate sono di gran lunga inferiori ai limiti massimi di residuo ammessi dalla attuale normativa sanitaria. Situazione più complessa quella delle acque, in cui, con la sola eccezione di profoxydim, tutti gli agrofarmaci esaminati hanno dato luogo alla presenza di residui nelle acque di sommersione. Le diverse sostanze attive hanno, tuttavia, fatto rilevare una significativa riduzione delle concentrazioni, soprattutto durante i primi 10-20 giorni successivi alla loro distribuzione, in condizioni di stazionamento. Per questo motivo, al fine di contenere l’accumulo di residui, che porterebbero all’eliminazione o alla restrizione dei principi attivi in caso di superamento dei limiti, appare importantissimo mantenere le bocchette chiuse il più a lungo possibile in seguito all’esecuzione del trattamento. Autore: Ezio Bosso