Sotto sotto c’è il mito della decrescita felice. In lontananza si scorgono Latouche e la sua critica al concetto occidentale di sviluppo… Intendiamoci, dentro il calderone delle idee di Susanna Cenni, che in Parlamento sta conducendo una battaglia per il libero scambio delle sementi, ci sono anche concetti che il mondo risicolo apprezza. Concetti che varrebbe la pena di approfondire, ovvio, ma la realtà è più drammatica, concreta e immediata. Quella di un periodo nero per tutti, che impone drastiche riduzioni di costo e rischia di stroncare la qualità del made in Italy. Sotto la battaglia del seme c’è questo. Anche quando a ingaggiarla è chi il seme lo produce. Deprivati degli aiuti comunitari e incalzati dal reimpiego aziendale, infatti, i sementieri hanno reagito molto negativamente alla strategia del baratto perseguita dalla deputata postcomunista toscana, la quale recentemente ha convinto la Commissione agricoltura della Camera ad approvare all’unanimità una risoluzione “a garanzia della sicurezza dell’agricoltura europea e il commercio internazionale dei semi senza intaccare la biodiversità e la libertà dei piccoli coltivatori europei di crescere e utilizzare le proprie sementi”.
Una posizione – sottolinea lei stessa sul proprio blog – “già preannunciata dal Presidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo, Paolo de Castro, che intende rigettare, domani 11 febbraio, la proposta di Regolamento della Commissione europea, già criticata pubblicamente da tante associazioni e personalità anche nelle scorse settimane”. Dubitiamo che De Castro, uno dei politici più preparati in materia agricola, sottoscriva toto corde le idee degli ecologisti democratici, per quanto nella temperie attuale tutto sia possibile; del resto, la risoluzione è stata approvata all’unanimità dalla Commissione e il testo finale raccoglie firme “insospettabili”…
La Cenni, scommettendo sulla imminente bocciatura della proposta della Commissione UE per rivedere le norme sulle sementi e gli altri materiali vegetali, con la sua risoluzione vuole indurre il Governo a “un impegno più vasto a sostegno delle filiere delle sementi locali, del libero scambio dei semi, della biodiversità e degli agricoltori custodi. Una scelta che con nettezza non può convivere con filiere Ogm”. Lasciamo per un attimo da parte i ragionamenti sul biotech, un totem usato ora per condannare chi lo rifiuta ora per ostracizzare chi lo adora. Il punto è un altro. Il baratto. Che, a dispetto dei fondamenti filosofici da cui muove, in questo campo non ha nulla di onorevole, perché, in un sistema agroalimentare diretto alla produzione di alto valore aggiunto come quello italiano, il baratto crea povertà e non ricchezza.
Diciamo subito che nel mondo risicolo lo scambio di semente non è così diffuso da impensierire. Il reimpiego aziendale, quello sì che sta crescendo a livelli preoccupanti. Ma è il concetto stesso di agricoltura d’antan che sta dietro all’idea del “baratto” che disturba Assosementi, la quale in settimana se ne è uscita con un comunicato di fuoco contro l’on. Cenni e la sua iniziativa in quanto la risoluzione approvata a Montecitorio potrebbe realmente condizionare l’esecutivo e spingerlo verso una politica di minore rigore sul controllo e sul commercio delle sementi, così come di piante fruttifere e barbatelle di vite.
Ecco cosa dicono i sementieri: “Se, da un lato, la proposta in discussione, che intende riunire in un solo dispositivo ben 12 diverse direttive sulle sementi e gli altri materiali da moltiplicazione, suscita diverse perplessità e difetta di chiarezza, ha commentato Valeria Martino, vice presidente di Assosementi, non si può, dall’altro lato, condividere le tesi di chi ritiene che l’assenza di regole e dunque lo scambio delle sementi senza regolamentazione possa salvaguardare meglio la biodiversità e l’ambiente o garantire competitività alla produzione agricola. Al contrario, in un sistema produttivo rivolto al mercato, riteniamo che la qualità e la sicurezza delle sementi e degli altri prodotti vegetativi come fruttiferi, vite, ornamentali e piante forestali, regolamentate da un apparato normativo razionale ed efficace e che garantisca in primis l’identità dei materiali, prosegue Martino, siano elementi imprescindibili, da difendere. La stessa COPA-COGECA, l’organizzazione comunitaria dei produttori e delle cooperative agricole, nei giorni scorsi ha sottolineato che solo un forte sistema di certificazione e di controlli ufficiali potrà continuare ad assicurare agli agricoltori sementi di elevata qualità e garantire sufficiente competitività. Assosementi si è sempre espressa a favore e riconosce la necessità di tutelare le varietà tradizionali e la biodiversità, entrambe alla base del lavoro di incrocio e selezione varietale e quindi di quel miglioramento genetico di cui la produzione agricola ha bisogno. Questi temi, peraltro già disciplinati da norme comunitarie e nazionali, non vengono messi in discussione nella nuova proposta di regolamento, ma, anzi, rafforzati. Appare evidente pertanto che gli attacchi e le strumentalizzazioni di cui la normativa in questione è oggetto risentano del clima di vigilia elettorale che oramai si respira per l’europarlamento, per cui – conclude Martino, “una pausa di decantazione non Potrà che favorire una più distesa e ponderata ripresa dell’esame della proposta”.
Certo, Assosementi fa il suo mestiere, che è quello di tutelare i sementieri, ma effettivamente questa risoluzione sembra un segnale della schizofrenia che spesso colpisce la politica: da un lato non si perde occasione per pontificare sulla qualità del made in Italy e si organizzano mega-risottate nei Palazzi del Potere, dall’altro si ignora il fatto che senza miglioramento varietale e l’utilizzo di semente certificata si va nella direzione opposta, perché, per quanto comprensibile in periodi di vacche magre, lo scadimento dei mezzi tecnici utilizzati comporta una maggior diffusione di patologie e la necessità di trattamenti agrochimici più intensi e frequenti. Nel caso del riso, si stima che l’uso di semente non certificata abbia già raggiunto il 20%. Nel frumento sta raggiungendo il 40%!!! E’ precisamente questa discrepanza tra le idee ecologiste e la realtà quotidiana dell’agricoltura che non capiamo; probabilmente è un riflesso della divergenza irreparabile tra la tendenza dell’agricoltura alla specializzazione scientifica e quella della politica al populismo semplificatore, ma una classe politica che voglia occuparsi efficacemente del made in Italy deve conoscere i meccanismi tecnici ed economici del settore. Che non sono solo quelli raccontati, con impareggiabile tecnica affabulatoria, da Carlin Petrini e dalla sua Slow Food. (10.02.14)