Il bio ci sfamerà? Per rispondere a questa domanda bisogna aver studiato la storia: sfogliando i libri si scopre che fino a tutto il XIX secolo le malattie delle piante erano causa di ricorrenti carestie. La più disastrosa fu quella che colpì l’Irlanda tra il 1845 ed il 1850, in seguito ad una epidemia di peronospora della patata. Degli otto milioni di residenti, 800.000 morirono di fame, e due milioni emigrarono. Negli stessi anni una serie di estati umide estese in tutta Europa causarono scarsi raccolti di grano, che ne fecero impennare i prezzi e contribuirono a causare le rivolte del 1848. Per la peronospora della patata, fu successivamente trovato il parziale rimedio del solfato di rame, sostituito oggi da prodotti di sintesi molto più efficaci, mentre per il frumento esistono solo prodotti di sintesi, che in questa umida estate 2014 si sono dimostrati indispensabili a salvarne il raccolto. I “bei tempi andati”, senza potersi difendere dalle malattie delle piante, non erano poi così belli…
I vigneti del Piemonte intorno al 1850 furono colpiti per la prima volta dall’oidio. Il Conte di Cavour, allora ministro dell’agricoltura, si adoperò per trovare un rimedio; gli scienziati presenti nell’Accademia di Agricoltura di Torino, da lui incaricati, lo scoprirono rapidamente: lo zolfo in polvere. Si impegnò quindi a diffonderne l’uso, salvando la viticoltura e le popolazioni che ne dipendevano economicamente. Anche lo zolfo ha visto nascere successivamente rimedi più efficaci. Lo stesso Conte di Cavour, nella sua azienda di Leri, dopo aver conosciuto le scoperte di Lavoisier e Liebig sulla nutrizione minerale delle piante, sperimentò il guano ed i primi fertilizzanti chimici, incrementando la produzione di risone da 14,01 a 22,37 q/ha, e del frumento da 7,59 a 11,28 q/ha (S.Pugliese). Ai tempi, gli italiani erano 20 milioni, e gli abitanti della Terra circa un miliardo, e già sentivano l’impellente necessità di incrementare la produzione agricola. Oggi gli italiani sono triplicati, dipendendo fortemente dalle importazioni per sfamarsi, e gli abitanti del mondo si sono moltiplicati per sette. Come si può nutrirli (quasi) tutti? Solamente utilizzando gli innegabili progressi della genetica, che ha selezionato piante in grado incrementare notevolmente le produzioni, a patto di essere difese adeguatamente dai parassiti e lautamente alimentate con fertilizzanti azotati, sintetizzabili in grandi quantità mediante processi chimici. Come in tutti i progressi, vi sono stati degli effetti poco graditi, quali i residui di fitofarmaci negli alimenti, e la percolazione di nitrati in falda. Questi effetti negativi sono stati in gran parte corretti, mediante l’imposizione di limiti stringenti sui residui di fitofarmaci presenti negli alimenti (1/100 della dose ritenuta nociva), e sulle somministrazioni di fertilizzanti azotati. Quando le tecnologie attuali non erano disponibili, la popolazione mondiale per decine di millenni è rimasta sotto i 100 milioni, e non ha superato il miliardo fino a metà del milleottocento. Solo i progressi della Scienza applicati ad agricoltura e medicina hanno permesso di raggiungere i sette miliardi in un periodo relativamente breve.
Volendo ragionare in termini di rapporto costi/benefici, ci possiamo permettere di rinnegare tutte le scoperte scientifiche che hanno permesso di incrementare la produzione agricola?
Proviamo a ragionare con dei numeri (fonte:FAO) :
AREA TOTALE PIANETA TERRA (km2) |
510.072.000 |
AREA COPERTA DALL’ACQUA |
361.132.000 |
DESERTI, MONTAGNE, SAVANE |
148.940.000 |
PASCOLI, FORESTE |
34.328.340 |
TERRA ARABILE |
12.324.576 |
TERRA ARABILE ED IRRIGABILE |
3.081.144 |
La superficie coltivabile della Terra rappresenta circa il 3% del totale, ed è in continua diminuzione, vista l’invasione delle infrastrutture edili. Ad esempio, la pianura del Po ha perso dal 1920 ad oggi il 25% dei terreni agricoli. Non essendo pensabile la trasformazione in coltivate delle superfici ricoperte dai pascoli , che non sarebbero comunque adatte, e neanche di quelle forestali, pena un ulteriore incremento del tasso di anidride carbonica, e non potendo utilizzare deserti, montagne e savane, per far fronte ai bisogni dell’attuale popolazione della terra occorre incrementare, e non diminuire, la produttività per ogni ettaro di terra coltivabile. La scarsità di terreni coltivabili è presa seriamente in considerazione da parte di alcuni Paesi al mondo , ed il fenomeno detto “land grabbing” (accaparramento dei terreni coltivabili) ha assunto dimensioni impressionanti. Sono milioni gli ettari già acquistati nei vari continenti…
Le previsioni indicano oltretutto un ulteriore incremento della popolazione nei prossimi anni, evento considerato ineluttabile e non controllabile. A questo punto, otto o dieci miliardi di persone, che devono nutrirsi, e sperano di farlo sempre meglio, troveranno soddisfazione ai loro bisogni, riducendo pure l’inquinamento ambientale? Ad un convegno internazionale di specialisti in patologia vegetale, tenutosi all’Università di Torino il 23 settembre 2010, nel ragionare sulle prospettive della difesa delle piante, il prof. U.Gisi dell’Università di Basilea ha presentato un grafico che quantifica i milioni di tonnellate di alcune derrate alimentari producibili potenzialmente nel mondo in assenza di malattie delle piante, confrontandoli con quelli attualmente prodotti nella inevitabile presenza di parassiti ma con l’ausilio di protezione chimica, e con quelli producibili in assenza della medesima. Alla luce di questi dati ci possiamo veramente permettere di rinunciare ai fitofarmaci, impropriamente denominati “pesticidi” dai loro detrattori?
La riduzione dei fitofarmaci attuata dall’Europa nel corso dell’ultimo decennio non sarà indolore dal punto di vista della produzione, come illustra uno studio di Nomisma effettuato nel 2006 e proiettato al 2020: in assenza di adeguati correttivi, l’Europa perderà l’autosufficienza alimentare per i prodotti considerati.
La sfida che si presenta quindi per il futuro mondiale è dunque quella di incrementare gli strumenti per la difesa delle colture, certamente ricercando un minor impatto sull’ambiente e limitando al massimo i pericoli per la salute, ma nel contempo ottenendo un miglioramento della produzione, altrimenti l’unica certezza che ci ritroveremo, in nome dell’ideologia del principio di precauzione, sarà quella di una grave insufficienza di cibo. A quel punto, molti potranno applicare alla lettera ed anticipatamente detto principio, in quanto i defunti sono gli unici soggetti esenti da ogni rischio. Per non arrivare a quel punto dobbiamo porci ora la domanda che più ci interessa: qual è il futuro del riso bio in Italia? Autore: Giuseppe Sarasso (foto piccola) (01.09.14) LA TERZA PARTE SARA’ PUBBLICATA DOMANI