La forte espansione della semina in asciutta rappresenta una vera e propria rivoluzione in risaia ed è una tendenza tipicamente lombarda. Nel territorio della provincia pavese ha interessato nel corso dell’ultima campagna la stragrande maggioranza della superficie, secondo l’Ente Risi. Dato il valore attuale del riso, che quest’anno per le varietà coltivate in quell’area si è attestato su valori medi che erano meno di un terzo di quelli degli anni Duemila, non è difficile comprendere la logica che ha convinto i singoli agricoltori ad optare per la semina in asciutta. Una marcia trionfale che implica tuttavia anche dei problemi e degli interrogativi.
Ente Risi: opzione con pregi e difetti
Franco Sciorati, Assistente Tecnico dell’Ente Risi nelle province di Pavia, Milano e Lodi ci dice che «da un punto di vista ambientale la pratica presenta pregi e difetti: può contribuire a contenere le emissioni di metano derivanti dalla decomposizione della sostanza organica in ambiente ridotto, ma sembra incrementare le emissioni di protossido di azoto. Molto controverso è anche l’effetto sull’equilibrio idrico chederiva dalla semina in asciutto. Da un lato riduce di oltre un mese il periodo di fabbisogno idrico, anche se non sembra comportare un risparmio particolarmente significativo in termini assoluti; dall’altro crea una asimmetria nel sistema, in quanto non utilizza le acque nel periodo di massima disponibilità (almeno teorica) corrispondente allo scioglimento delle nevi alpine ed alle fasi statisticamente più piovose dell’anno (in genere la prima metà di maggio) in cui, al contrario, chi semina in asciutto tende ad allontanare le acque eccedenti. Ciò crea spesso un ingorgo nelle esigenze idriche a giugno che potrebbe mandare pesantemente fuori equilibrio tutto il sistema. Si determina inoltre un ritardo nella ricarica delle falde, che probabilmente sta generando una sorta di circolo vizioso: tanto più la tecnica di semina a file interrate si estende a nord nel comprensorio risicolo, tanto più si ritarda la disponibilità di acqua per le risaie a sud, che sono sempre più costrette a scegliere la semina in asciutto per indisponibilità di acqua nelle prime fasi della stagione irrigua».
Barozzi: migliore gestione di alcune malerbe
La tecnica della semina del riso a file interrate con successiva sommersione allo stadio di 3^-4^ foglia (o con sommersione turnata in alcuni ambiti) presenta, come ogni pratica agricola (ma si potrebbe dire come ogni pratica umana..) alcuni vantaggi e svantaggi. Secondo l’agronomo Flavio Barozzi, operativo principalmente in Lomellina (è anche uno dei consulenti di AGRIHELP), tra i vantaggi della semina in asciutta ci sono indubbiamente gli aspetti pratico-operativi, che probabilmente rivestono un ruolo determinante nel successo e nella diffusione della pratica: «lavorare con le scarpe anziché con gli stivali agevola molto le operazioni, sia in termini di tempi, che di organizzazione dei cantieri di lavoro, che di usura dei mezzi meccanici; anche la possibilità di dilazionare di oltre un mese le operazioni di controllo delle acque rappresenta un importante snellimento nel layout dell’organizzazione del lavoro. Da un punto di vista più strettamente agronomico, la semina a file interrate consente una migliore gestione di alcune infestanti acquatiche, in specie alismatacee e pontederiacee (Hereanthera spp.), ed in parte anche di cipetacee e butomacce. Inoltre riduce le problematiche fitosanitarie che possono manifestare nella fase di emergenza della coltura, in particolare quelle legate ad alghe ed insetti. Infine migliora la resistenza all’allettamento (sia attraverso una relativa riduzione della taglia, che attraverso lo sviluppo dell’apparato radicale) che costituisce spesso un tallone d’Achille(unitamente alla suscettibilità alle malattie fungine) di molte varietà italiane tradizionalmente destinate alla produzione di risotto. Per contro la semina a file interrate rende in genere più complessa la gestione di infestanti non tipiche della risaia in sommersione: dal giavone americano (Panicum dicotomiflorum) alla sorghetta (Sorghum halepense), oltre alle poligonacee, alle chenopodiacee, ad alcune specie del genere Cyperus, che possono rendere le strategie di protezione della coltura dalle malerbe particolarmente complesse. In molti casi potrebbe essere interessante effettuare uno o più passaggi con erpice strigliatore in abbinamento con questa tecnica, per integrare le strategie di lotta alle malerbe con una pratica di diserbo meccanico tendente a contenere le infestanti da seme ed a semplificare gli interventi di diserbo chimico (che spesso sono comunque complicati dalla scalarità nella nascita delle infestanti)».
Ballone: se il meteo ci mette lo zampino…
Alcuni problemi che si sono verificati nel recente passato, sono legati alla mancata attivazione dei diserbi in pre-emergenza; Claudio Ballone, risicoltore di Cassolnovo (Pavia) mette in luce come «in alcuni casi l’assenza di precipitazioni in grado di attivare gli erbicidi ha consentito la nascita delle infestanti prima della nascita del riso, per questo motivo alcune volte non si è potuto da subito utilizzare i graminicidi ad alte dosi per non infierire sul riso e, alcuni giavoni, soprattutto ecotipi bianchi, sono sfuggiti al controllo. Il riso seminato in asciutta presenta in genere esigenze leggermente superiori, spesso legate alla piccola crisi fisiologica che si presenta al momento della sommersione nel passaggio dall’assorbimento di azoto nitrico (tipico dell’ambiente aerobico e soggetto a perdite per dilavamento e lisciviazione) ad azoto ammoniacale (tipico dell’ambiente anaerobico e trattenuto dai colloidi del terreno). Relativamente alle concimazioni azotate bisogna tenere conto che in condizioni di asciutta abbiamo un’elevata nitrificazione dell’azoto e all’immissione dell’acqua un successivo dilavamento, incidendo sull’efficienza della stessa fertilizzazione».
Ogliari: tante precauzioni
La possibilità di alternare la tradizionale pratica di semina in sommersione con quella interrata consente di migliorare notevolmente la gestione di infestanti resistenti tipiche della sommersione: «molto diffusa è l’Alisma plantago, più banalmente detta cucchiaio dagli addetti ai lavori – sottolinea Stefano Ogliari, risicoltore della Certosa di Pavia -; è necessario porre maggiore attenzione al livello dell’acqua quando si passa da una tecnica all’altra per consentire l’adattamento della pianta alla nuova condizione. Eventuali carenze idriche possono avere ripercussioni sullo sviluppo della coltura nella fase vegetativa, ma i danni maggiori possiamo averli dalla fase di differenziazione alla fase di fioritura, con ripercussioni importanti sulla produzione della granella. Inoltre, quando si livellano le camere con lame a controllo laser si assicura una tale uniformità di livello dell’acqua che diventa più facile gestire al meglio le risorse idriche».
Braschi: ma è più comoda
I vantaggi di questa pratica sono comunque molteplici: un risparmio idrico (rispetto alla semina tradizionale in acqua), in quanto l’immissione dell’acqua avviene più tardi, solitamente dopo il primo diserbo; meno seme che nella semina diretta in acqua; meno emissioni di gas serra; meno manodopera; meno usura dei mezzi; trasferimenti più rapidi perché non devi usare le ruotine in ferro; l’eliminazione della moria dei germinelli e di altri inconvenienti tipici della semina in acqua. In conclusione, il parere di Paolo Braschi, titolare di un’azienda risicola nel Comune di Vistarino (Pavia) e degli altri risicoltori è univoco: «a fine raccolto la quantità d’acqua utilizzata resta più o meno la stessa, così come la resa della pianta. Ma muoversi nei campi asciutti è più facile». Autore: Martina Fasani