In Italia, pur non essendovi più impianti nucleari in funzione (ad eccezione di alcuni reattori di ricerca), è presente un quantitativo non trascurabile di rifiuti radioattivi, a suo tempo generati, nella stragrande maggioranza, nel corso del programma nucleare. A questi rifiuti si aggiungono quelli prodotti da attività in campo medico, industriale e di ricerca. Mercoledì 20 gennaio si è svolto il primo incontro informativo per illustrare la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee a ospitare il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi nell’ambito del Parco Tecnologico. I territori presenti tra le aree individuate nella Carta Nazionale sono stati pubblicati da Sogin il 5 gennaio scorso, con il nulla osta del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero dell’Ambiente.
Sogin è la società pubblica incaricata del decommissioning degli impianti nucleari e della gestione dei rifiuti radioattivi. In Piemonte, nonostante sia la regione in cui già attualmente vi sono i depositi maggiormente pericolosi (vedi i grafico seguente), sono stati individuati 8 siti capaci di rispettare tutti i criteri imposti. Si tratta di 8 sui 67 totali ma vi è un dato che presagisce la probabile nascita di un centro di deposito nella regione sabauda, ossia 7 siti (sui 12 totali) appartengono alla Classe A1, quella che comprende i siti più adatti.
Riepilogo per Regione – Rifiuti Radioattivi, Sorgenti dismesse e Combustibile Esaurito (al 31-12-2018). Fonte: Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione
Al confronto hanno partecipato anche alcuni esponenti dei sindacati agricoli, che si sono opposti alla possibile nascita di un nuovo centro di deposito, vista la già grande mole di rifiuti presenti in Regione. Enrico Allasia, presidente di Confagricoltura Piemonte, ha affermato: «L’agricoltura è il settore che paga il danno più rilevante alla costruzione del Deposito di scorie nucleari e Parco tecnologico. Partiamo dalla superficie: 150 ettari di terreno accorpati (tornando al tema del consumo dei suoli, ndr), superficie che sarebbe estremamente complicato, per non dire quasi impossibile, pensare di mettere insieme in un’operazione di riordino fondiario. Le aree individuate in Piemonte sono estremamente interessanti dal punto di vista produttivo: si realizzano produzioni foraggere e cerealicole che costituiscono la materia prima essenziale per lo sviluppo della filiera zootecnica da latte e da carne. Altre aree si avvicinano pericolosamente a siti tutelati dall’Unesco oppure, nel caso di Mazzè e Caluso, ad aree vitate di pregio a poche centinaia di metri da un parco naturale con all’interno un lago. Il danno non sarà soltanto diretto ma a cascata si avrà un deprezzamento inevitabile di tutte le aree contigue, nel raggio di molti chilometri. Pensare di isolare il deposito e parco tecnologico, limitando il danno è pura utopia. È necessario guardare altrove, perché il Piemonte non può permettersi di rinunciare al proprio futuro: se dobbiamo quantificare le ricadute socio economiche, diciamo che un intervento di questo tipo produrrebbe un danno irreparabile e dunque impagabile».
Il danno interesserà l’agricoltura, il paesaggio, il turismo rurale, qualcosa che però gli agricoltori di Saluggia e Trino, essendo le due sedi principali di deposito in Piemonte (vedi grafico), entrambe in provincia di Vercelli, conoscono già da tempo. Tuttavia , come ci spiega Michele Osenga, agricoltore di Trino che gestisce i terreni limitrofi al deposito esistente: «Le problematiche dirette non sono molte, non vi sono particolari limitazioni alla gestione dell’acqua ed a 50 m dall’impianto è possibile coltivare sia mais che riso. Sicuramente è una zona che può diventare pericolosa da un momento all’altro, ricordo ad esempio in seguito all’alluvione di circa 20 anni fa, vi furono sopralluoghi militari. I soldati rimasero per i 5 anni successivi, controllando i transiti nelle vicinanze del deposito. In ogni caso, si trattò di un evento unico da che ho memoria, per il resto i controlli non sono maggiori rispetto ad altre zone agricole».
Rifiuti radioattivi del Piemonte. Fonte: Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione
Oltre ai rischi connessi ad eventi straordinari, come quelli citati da Osenga, rimangono gli innumerevoli e onerosi problemi indiretti, sopracitati. Anche per questo motivo i sindacati della capitale del riso si mostrano sensibili al tema e profondamente contrari, a partire da Paolo Dellarole, Presidente di Coldiretti Vercelli e Biella, che spiega in un comunicato stampa: «Nelle province di Vercelli e Biella non sono state individuate aree, a conferma che le nostre province hanno già pagato con gli attuali depositi e che evidentemente il territorio non è adatto per il deposito ulteriore di questo tipo di rifiuti. Non siamo nemmeno lontani da altre province che sono invece state considerate idonee per lo stoccaggio. Per questo ci uniamo alle richieste portate avanti da Coldiretti a livello regionale, per chiedere che siano presi in considerazione anche altri luoghi. Si tratta anche di non ‘consumare’ ulteriore suolo, già molto urbanizzato e sfruttato con superfici artificiali. Dopo la pubblicazione della carta con le 67 aree individuate sono stati dati soltanto 60 giorni per una fase di consultazione pubblica, ma per noi è una questione delicata che richiede un’analisi più approfondita, considerando la sua complessità».
Anche Manrico Brustia, Presidente di Cia Novara, Vercelli e VCO, ritiene evitabile la creazione di un nuovo deposito in Piemonte, spiegando: ‹«I due siti vercellesi hanno destato sempre molta preoccupazione, in quanto sono in area soggetta ad esondazione dei fiumi ed infiltrazioni della falda molto superficiale. C’è stata sempre una convivenza ma con molta attenzione, inoltre la svalutazione generale di un’azienda, che si trova a condividere il territorio con un centro di deposito di rifiuti radioattivi, è importante e fuori discussione. Credo che a livello nazionale si debba aprire un dibattito ed evitare di concentrare su di un’unica regione l’accumulo di questo tipo di rifiuti. Proseguire con questa scelta significherebbe distruggere l’immagine della produzione agricola piemontese, soprattutto riguardo ai prodotti di eccellenza, un danno praticamente irrisarcibile. Credo sia corretto pensare di costruire nuovi siti, più moderni e sicuri, rispettando i dovuti criteri, ma è importante che questi siano spalmati su tutta la Penisola, in quanto la produzione di questi rifiuti è responsabilità di tutti. È da 40 anni che siamo la sede principale di deposito, ritengo sia giusto confrontarsi per far si che carico di rischi e pubblicità negativa, soprattutto per il settore agroalimentare, non ricada unicamente sul nostro areale».
Chiudiamo con le parole di Giovanni Perinotti, Presidente di Confagricoltura Vercelli e Biella, che aggiunge: «Quello che dice Allasia è vero ed è stato concordato con tutte le province piemontesi. A maggior ragione se guardiamo il vercellese: un ecosistema, un reticolo idrografico che mal si adatta ai depositi di scorie nucleari, che devono essere più sicure della sicurezza per definizione. Per anni il nostro territorio è stato testimone di queste presenze ingombranti con tutti i rischi del caso, quindi la nostra posizione non può che essere negativa rispetto alla presenza sul territorio di questi depositi. L’influenza sulle aziende è relativa, nel senso che fortunatamente non c’è stata nessuna fuoriuscita di prodotto pericoloso. Non abbiamo dovuto adottare metodi di coltivazione particolari in quanto non eravamo noi a dover “stare attenti”. Per noi agricoltori è stata molto più impattante la centrale di Leri con le sue torri, i suoi fumi che modificavano l’umidità relativa. Nel caso venissero costruiti nuovi depositi vi sarebbe un impatto in termini di pubblicità negativa, per il fatto che Vercelli continui ad essere considerata una provincia di riserva, dove fare stabilimenti che altre zone rifiutano (ad esempio trattamento e stoccaggio rifiuti)». Autore: Ezio Bosso