Torniamo sul tema residui in risicoltura e cerchiamo di capire cosa comporta lo studio “Residualità nella granella e comportamento ambientale dei principali agrofarmaci impiegati nella difesa del riso” che abbiamo presentato in un articolo precedente che potete leggere qui.
Come abbiamo visto, la sbramatura del riso comporta sempre la completa rimozione dei residui e il processo di parboilizzazione, anche se determina una migrazione delle due sostanza ad azione fungicida negli strati più interni della cariosside, ci presenta concentrazioni di gran lunga inferiori ai limiti massimi consentiti. Oggi ne parliamo con chi ha lavorato direttamente su questo progetto. Secondo Marco Romani, Direttore del Settore Agronomia del Centro di Ricerca sul Riso dell’Ente Nazionale Risi, lo studio consiglia all’agricoltore di tenere degli accorgimenti ben precisi per limitare i residui: «Rispettare i tempi di stazionamento dell’acqua nella camera in seguito alla distribuzione dei prodotti chimici utilizzati in risicoltura è la pratica più efficace che gli agricoltori devono imparare a fare loro. Questo perché, in caso di mancato rispetto, gli effetti si ripercuotono direttamente sul loro lavoro, reso più complicato da eventuali restrizioni all’utilizzo o totali eliminazioni dal mercato dei principi attivi che contengono la popolazione infestante e le infezioni fungine, come già è avvenuto in passato, causando problematiche. In generale, però, i risultati forniti suggeriscono positività circa l’impatto della nostra risicoltura sull’ecosistema che occupiamo, non richiedendo ulteriori accortezze».
Quanto alle differenze tra le varietà e le tecniche di semina, Romani precisa che «riguardo alle differenze tra le varietà non sono stati condotti studi ad hoc ma ritengo che non siano fondamentali dal momento che i risultati sulla residualità generale non lo richiedono. Riguardo alle tecniche di semina vi rimando allo studio, che sottolinea alcune differenze solo nella degradazione del glifosate nel suo metabolita AMPA». Autore: Ezio Bosso