Paolo Carnemolla, segretario generale di Federbio, dichiara a Risoitaliano che c’è un legame tra il crollo del riso bio, il modo in cui sono gestiti i dati di questo settore e le inchieste giudiziarie. Non c’è pace per un settore che potrebbe dare molto di più. Carnemolla ne ha parlato ieri (leggi l’articolo) e oggi va in profondità. Commentando innanzi tutto le denunce di Risoitaliano, che fu il primo a lanciare l’allarme sul falso bio in risaia e non è stato reticente neanche quando l’Università di Milano, nell’ambito di una ricerca finanziata con denaro pubblico, non ha fornito dati chiari e definitivi sulle rese delle produzioni biologiche.
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Perché quando si parla di riso bio è tanto difficile avere chiarezza in un mondo che fa appello a sacrosanti valori etici?
Di certo FederBio non è mai stata reticente, visto che sono anni che denunciamo una situazione di forte inquinamento del comparto del riso biologico nazionale e siamo gli unici che hanno espresso pubblicamente l’appoggio alla Procura di Pavia e agli inquirenti anche nel caso della recente operazione in Lomellina. E proprio sulla questione delle rese produttive abbiamo lavorato molto, anzitutto per mettere in trasparenza le linee tecniche di coltivazione del riso biologico, anche in collaborazione in primis con la Regione Piemonte, e per denunciare una situazione di mercato nella quale applicando le rese tecnicamente corrette era evidente che non ci fosse coerenza fra le superfici coltivate e il prodotto commercializzato come coltivato in Italia. I produttori di riso biologico onesti e le filiere commerciali in cui questi sono inseriti hanno sempre fatto vanto della trasparenza, in particolare relativamente al dato delle rese produttive, a differenza di altri che sono sempre stati e sono consapevoli di operare in un sistema fraudolento.
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Parliamo proprio dell’inchiesta sul falso bio in Provincia di Pavia: cosa ci insegna questo scandalo?
Ci fa capire che il danno derivante anzitutto alla credibilità di tutto il settore biologico nazionale e del suo sistema di certificazione, oltre che ai produttori di riso biologico onesti, si poteva evitare se, come già detto, ci fosse stata la volontà politica a tutti i livelli di fare del riso biologico e dei territori vocati in cui si coltiva una vera eccellenza del Made in Italy e del nostro Paese. Ci siamo invece accontentati dei risultati produttivi importanti che ci hanno reso leader in Europa e nel mondo, pur consapevoli che questi erano e sono ancora falsati da statistiche che non corrispondono a una corretta e diffusa pratica della risicoltura biologica. Senza trasparenza e un approccio rigoroso alla conformità e all’etica, anzitutto da parte di chi sta in fondo alle filiere che non può non sapere da chi compra il risone e come lavorano gli organismi di certificazione in filiera, sarà sempre e solo la Magistratura a decidere le sorti del comparto. Ecco perché il silenzio totale seguito al comunicato della Procura della Repubblica di Pavia è inquietante. (leggi la novità)
Cosa hanno in comune i problemi di opacità del riso bio con quelli di altre filiere biologiche?
Quello che garantisce ai consumatori il logo europeo dei prodotti biologici è il rispetto di un metodo di produzione e la conformità di un’azienda biologica, sia rispetto ai requisiti fissati dalla norma che a un’organizzazione in grado di gestire al meglio tutti i processi e i fornitori, in modo da poter garantire essa stessa la conformità dei prodotti dichiarata attraverso l’etichetta. Il compito degli organismi di certificazione è quello di verificare anzitutto questo sistema di gestione e autocontrollo aziendale e dichiararlo conforme, se necessario facendolo adeguare. In questo quadro è evidente che alcuni parametri oggettivi, come l’adeguatezza dei piani di gestione della fertilità, di rotazione e di difesa da cui derivano le rese agronomiche devono essere presidiati con molta attenzione, capacità professionale e tecnologie adeguate. Questo, in realtà, si fa poco e male e certamente non in maniera sufficiente e diffusa fra gli organismi di certificazione accreditati e autorizzati per il biologico. Questo è sicuramente l’aspetto più critico del sistema di certificazione attuale, che non riguarda solo il riso. Del resto, anche le aziende recentemente indagate dalla Procura di Pavia necessariamente non coltivavano in biologico solo il riso. Ma, come già affermato, il problema riguarda anche l’adeguatezza dei sistemi di autocontrollo e di tracciabilità delle filiere, in particolare quando coinvolgono molti operatori e più organismi di certificazione. La prassi di accontentarsi di un certificato di conformità di un fornitore assicura una vita lunga e facile ai finti produttori biologici, qualunque cosa coltivino o vendano.
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