Il modo di coltivare le terre dell’acqua è cambiato tanto, per chi di capelli ne ha persi e i pochi rimasti sono sbiaditi, per chi ha visto tutto un mondo che è scomparso e non torna più indietro: ma il nostro mestiere resta pur sempre il più bello del mondo. Le continue piogge di novembre hanno fermato il taglio ai ritardatari, ma di tempo bello ne ha fatto tanto prima e le piogge nella grande pianura sono neve preziosa sulle montagne che cingono in un abbraccio le terre del piano.
La stagione più bella che vede il risveglio della terra amata ha sempre meno riflessi d’argento e sempre più file verdi come di grano d’autunno. Sono tornate le sgrape, i cobiti, ma queste sono della famiglia delle anguille: non si purgano in una notte nel latte e non vanno via quando il riso fiorisce e si diffonde il profumo più buono del mondo nelle sere d’agosto, quando in cascina sentivi il profumo di salvia e d’aceto delle carpe in carpione. Sono arrivati gli ibis sacri da una terra lontana oltre il mare, dove avevano finito le risorse; hanno volato sopra i confini, dove gli umani hanno posto barriere ad altri umani; anche per loro le risorse erano finite. La natura è più saggia degli uomini che litigano tra di loro e gli invasi non si fanno, così quell’acqua preziosa scende a valle e si spreca; la natura, invece, con la neve la conserva per i giorni roventi, quando l’acqua scarseggerà nelle terre del piano.
Nel tempo lontano, dove troviamo la nostra parte migliore, rivedo ancora nelle sere d’inverno la gente che si riuniva nella stalla della nona Jeta ( classe 1881 ) a fare il rò. La nonna filava, il Pidrot raccontava le storie, di quando suonava la fisa al Campesio dov’era nato e c’erano le mondine che ballavano, come quella sera di mercoledì 7 giugno 1905 e la “Giuana” , i Reali carabinieri, arrivarono all’improvviso a rovinare la festa al Biondin… Era da 10 anni che lo stavano cercando, è scappato sulla corda ma aveva bevuto troppo e il suo inseguitore lo ha raggiunto. Duello all’ultimo sangue e Biondin fulminato con un colpo al cuore. Neanche la morte ha cancellato il suo sorriso. Ha battuto anche l’antropologo Cesare Lombroso: il suo cervello era perfetto.
Erano anni di grandi scioperi, “tumulti” li chiamavano. Il primo a Vettignè sedato dalla cavalleria di Novara. Ma a Vettignè c’era anche un sacerdote che aveva denunciato la vita che facevano gli “sciavandè”: bevevano l‘acqua dei fossi, dormivano nelle case con il pavimento di terra e le tramezze erano fatte di sacchi appesi ad una corda; ho fatto in tempo ancora a vederli. E poi, quando quelle donne coraggiose bloccarono Vercelli nel giugno 1906, quel mare di gente si riversò in piazza del municipio e alle 16 la mondina Maria Provera si affaccio su quella piazza ondeggiante e vociante a dire: «J’an firmà – Hanno firmato!». Le otto ore avevano firmato, le prime in Europa ad ottenerle. Su di una vecchia anta del mio magazzino “Dormitorio Donne” e sul portone della vecchia chiesa c’è una scritta antica:« 1861 A nà l’Italia». Era nata l’Italia unita in quell’anno, con l’80% di analfabeti e la stessa percentuale che lavorava la terra.
Pochi sanno però che una battaglia decisiva per l’Indipendenza è stata combattuta proprio dalla nostra gente di terra, quando venne allagata tutta la piana risicola. Per “ Strategico intendimento” il 25 aprile 1859 si allagarono 450 chilometri quadrati con 39 milioni di metri cubi d’acqua fornita dai regi canali, con 79 sbarramenti, gestiti da Carlo Noè, su ordine del ministro della guerra Alfonso Lamarmora. Così quando l’esercito austriaco di 70mila uomini entrò a Vercelli il 2 maggio 1859, il generale Terens Gyulai si trovò davanti quel grande “Laco” che non risultava sulle sue carte, rimase bloccato per 17 giorni a Vercelli. L’essenza di quella pagina bella di storia è tutta in proverbio vercellese:«E ‘l Giulai l’è turnà ndrè cun la pauta tacà i pè». A pagare le spese di quei giorni di occupazione fu il comune di Vercelli: un milione e 400mila lire. Per le coltivazioni non venne fatta nessuna richiesta di danno, la nostra gente di terra aveva vinto la guerra combattendo con le sole armi che aveva, la terra e l’acqua, un popolo che non ricorda il passato è destinato a non avere un futuro: la Storia siamo noi. Autore: Pier Emilio Calliera, Carisio 23 dicembre 2019.
Pier Emilio Calliera, risicoltore e scrittore noto come Pec, autore di “Hai visto che luna?” e “Dove il tempo si è fermato” regala questi auguri in forma di ricordo ai risicoltori, a tutti quelli che amano la risaia e a tutti gli altri. Ci associamo alla sua penna impareggiabile, con un Buon Natale. Paolo Viana