Martedì 11 settembre si è svolta una riunione di Confagricoltura Piemonte per concordare le osservazioni da inviare alla Regione Piemonte rispetto al progetto di nuovo Piano Territoriale delle Acque (PTA). L’atmosfera non era delle più euforiche, vista l’impostazione ideologica dei burocrati estensori del piano che relega, come al solito, l’agricoltura tra gli spreconi e gli inquinatori, a danno soprattutto della biodiversità. Una biodiversità che apparentemente non comprende nel suo elenco l’appartenenza degli umani che si dedicano all’agricoltura. Non viene considerato in alcun modo il loro ruolo nella produzione di alimenti (dove si troveranno poi i tanto decantati alimenti made in Italy se non da un incremento delle importazioni dall’estero?). Non si tiene conto delle ingenti risorse che gli agricoltori, direttamente o tramite i loro Consorzi, già impiegano nella gestione della sicurezza idraulica del territorio. Durante la riunione si sono poste le basi per confutare alcuni punti del PTA considerati lesivi dell’attività agricola in generale, per i quali si intende coagulare il consenso di tutti i sindacati agricoli e dei Consorzi irrigui e di bonifica. Si è lavorato, e nei prossimi giorni si continuerà a farlo, per raccogliere le istanze delle varie realtà del Piemonte, e presentarle in modo coordinato da parte di tutti gli interessati.
Passiamo a sintetizzare, in attesa e nella speranza che si trovi una larga condivisione di risposte, alcune delle principali istanze portate al tavolo di lavoro, qui commentate a titolo personale. Precisiamo che la stesura del piano è composta da 800 pagine di scritti, più 400 pagine di allegati, nelle quali sono infilate molte imposizioni, quasi tutte a carico dell’agricoltura, talmente generiche da dover essere precisate nei regolamenti applicativi, che potrebbero aggravarle ulteriormente. In proposito, si citano le parole di Ezra Pound: “L’incompetenza si manifesta con troppe parole”.
Il passo chiave è quello dell’aumento dei canoni di derivazione dell’acqua, adducendo come scusa motivi ambientali. Riportiamo testualmente: “ la formula proposta per il calcolo del costo ambientale è rappresentata dalla somma dei costi calcolati in base alla quantità di risorsa prelevata/consumata e di quelli calcolati in base alla qualità dell’acqua restituita a valle dell’utilizzo; sono proposti, inoltre, alcuni parametri correttivi, legati agli indicatori di stato della DQA, che consentono di legare il risultato della somma dei costi alla classificazione dello stato di qualità dei corpi idrici interessati ed alla tipologia di uso dell’acqua.” Il criterio ispiratore è lo slogan “chi inquina paga”. Parrebbe che ad inquinare sia solo l’agricoltura, che riceve invece dai fiumi e dagli stessi canali irrigui acque miste agli scarichi urbani ed industriali, e dopo le irrigazioni le restituisce, nei fiumi e nelle falde, in gran parte depurate da tali inquinanti, aggiungendo dosi minimali di inquinamento da fitofarmaci.
Un provvedimento equo dovrebbe quindi misurare le concentrazioni di TUTTI gli inquinanti, compresi quelli di origine organica, stilandone un bilancio in entrata ed uscita dai territori consortili. Alla concentrazione di ogni inquinante dovrebbe essere attribuito un coefficiente proporzionato ad un parametro ufficiale di tossicità ( si suggerisce NOAEL di OMS), allo scopo di stabilire i valori che risultano in difetto, relativi agli inquinanti smaltiti (sostanze organiche) ed a volte accumulati nei terreni agricoli (metalli pesanti), da risarcire agli agricoltori, e quelli in eccesso, in gran parte dovuti ai fitofarmaci, da addebitare. Il riferirsi solo a questi ultimi sarebbe una palese, ulteriore ingiustizia, basata su preconcetti, nei confronti dell’agricoltura.
Si prospetta, oltre al deflusso minimo vitale, anche un “deflusso minimo ecologico”, vale a dire la rinuncia a prelevare acqua per l’irrigazione quando le portate dei fiumi sono troppo ridotte per riuscire a diluire gli scarichi delle città ai livelli di legge.
Per difendersi dalle alluvioni, si legge che “l’obiettivo è “la riconnessione degli alvei con le pianure inondabili, l’ampliamento degli spazi di mobilità laterale” . Ovviamente le aree inondabili sono campi coltivati, spesso con i raccolti pendenti, corredati delle abitazioni rurali e delle strutture operative delle aziende agricole. In sintesi, il combinato disposto del deflusso minimo ecologico e della riconnessione con le pianure inondabili impone di allagare i campi coltivati quando piove, e lasciarli all’asciutto quando il clima siccitoso induce magre nei fiumi. A peggiorare i pericoli delle piene si auspica, a favore della biodiversità, la rinaturalizzazione erbacea ed arborea delle aree di competenza dei fiumi, e di fatto si vieta l’asportazione dei sedimenti, col risultato di incrementare la frequenza delle alluvioni. Tutti hanno visto dal vivo od in TV alberi sradicati otturare i ponti, ed alvei di fiumi ostruiti da sedimenti nell’atto di procurare alluvioni. La procurata alluvione è un reato da codice penale. (Si veda la foto del Po a Crescentino, riprodotta al termine dell’articolo e si notino le diverse altitudini dell’alveo e del centro abitato)
Altro obbligo che si vuole introdurre a favore della biodiversità è quello delle fasce tampone nei campi che costeggiano corsi d’acqua naturali od artificiali, larghe da 5 a 10 metri in funzione della dimensione dei corsi d’acqua. L’impatto sui conti economici delle aziende agricole sotto forma di superficie incolta e di ricettacolo di propagazione di infestanti e parassiti sarebbe devastante.
Questi punti critici, ed altri qui non elencati per motivi di spazio, necessitano di una presa di posizione netta ed unitaria da parte di tutti gli agricoltori per scongiurare danni esiziali alla loro attività. Ci si augura che tutti coloro che vivono di agricoltura appoggino e sollecitino i loro rappresentanti di ogni colore ed i loro Consorzi di irrigazione e di bonifica a presentare osservazioni unitarie, che illustrino le nefaste prospettive di questa normativa, ricordando a coloro che intendono promulgarle la responsabilità che si assumono. Autore: Giuseppe Sarasso, agronomo