Giallo dell’estate. Lo scrive il consorzio del Riso del Delta del Po, dando notizia, attraverso un comunicato stampa, di aver risolto i problemi della risicoltura biologica. Ecco l’incipit del comunicato trionfale: «Miglioramento della competitività del Riso IGP attraverso la diversificazione con nuovi prodotti biologici e connotati da aspetti nutraceutici unici». Ed ecco il passaggio decisivo, che descrive le conclusioni di un progetto di ricerca reso possibile da un finanziamento pubblico: «La vera sfida che il comparto sta affrontando è il miglioramento della competitività del riso dell’area del Delta del Po attraverso la diversificazione con nuovi prodotti biologici e connotati da aspetti nutraceutici. Il progetto, cofinanziato dai fondi PSR Regione Emilia-Romagna, che ha visto la collaborazione di diversi soggetti tra cui il Consorzio di Tutela, Grandi Riso, Ente Nazionale Risi, Consorzio Futuro in Ricerca insieme ad UNIFE, e Areté, ha avuto l’obiettivo di incentivare l’innovazione e la diversificazione del Riso del Delta del Po IGP in funzione di richieste dei mercati per migliorare la sostenibilità economica e ambientale delle produzioni della zona.
Al fine di raggiungere quest’obiettivo generale si sono posti degli obiettivi più specifici:
a) Introdurre la risicoltura biologica negli areali del Delta del Po.
b) Sviluppare una linea di riso integrale biologico di facile impiego per i consumatori. c) Caratterizzare e promuovere le qualità del territorio presenti nel riso biologico del Delta del Po per una sua inscrizione all’IGP.
Il riso biologico ha infatti un valore commerciale più elevato del riso tradizionale e la tecnica colturale biologica, evitando l’uso di prodotti fitosanitari di sintesi, incentiva tecniche colturali a basso impatto ambientale e le nuove tecnologie consentono quindi la produzione in loco di riso dalla doppia caratteristica: BIO e IGP. Nel progetto sono state messe a punto le linee tecniche per la produzione del riso biologico nell’areale del Delta del Po tramite l’allestimento di campi dimostrativi per il confronto varietale con alcune cultivar ammesse dal Disciplinare di produzione del Riso IGP, Carnaroli e Arborio, alle quali è stata aggiunta la varietà Baldo. Al momento l’areale di produzione si differenzia dalle altre aree di produzione del riso a livello nazionale, la loro evidenziazione consente una valorizzazione del Riso del Delta del Po IGP, sia biologico che integrale, e può migliorarne la competitività e supportarne la tracciabilità.
Al campo di riso biologico è stata applicata la sperimentazione della tecnica di semina attraverso pacciamatura biodegradabile/compostabile ed ottenuto un ottimo risultato di abbattimento delle erbe infestanti. La costante ed attenta programmazione agronomica ha riportato ottimi risultati sul prodotto raccolto.
Le analisi UNIFE hanno rilevato contenuti bromatologici unici rispetto ad altre produzioni italiane. Sono stati confrontati dati di coltivazione convenzionale e biologico e i risultati evidenziano che la coltivazione in biologico migliora le già ottime caratteristiche della coltivazione convenzionale. Ad indicare che le produzioni convenzionali sono di alta qualità nutrizionale, mentre il contenuto di calcio e sodio è maggiore nel biologico. Il potassio resta il principale componente seguito dal magnesio e dal calcio e buoni contenuti di ferro, manganese e zinco. Sostanze fenoliche e antiossidanti sono presenti in egual quantità nelle due modalità di produzioni e ciò conferma una crescita della pianta senza stress.
Gli incoraggianti risultati confermano che le produzioni risicole del Delta del Po, partendo da un prodotto di eccellenza, migliorano le proprie “performance” con la pratica del biologico.
In conclusione, il progetto ha permesso di mettere a punto una tecnica di coltivazione del riso biologico nei territori del Delta del Po, che consente di contenere la pressione delle erbe infestanti con metodi biodegradabili/compostabili e produrre un riso che mantiene le peculiarità che contraddistinguono il Riso IGP migliorando alcuni aspetti nutraceutici, nonché di porre le basi necessarie al processo di diversificazione per la coltivazione di prodotti maggiormente richiesti dal mercato.
Risulta quindi interessante valutare una doppia certificazione: IGP e BIO». Ora, voi capirete benissimo che di fronte a un simile comunicato Risoitaliano ha dovuto chiedere quanto meno una relazione tecnica, che confermasse con i numeri queste affermazioni. Purtroppo, il Consorzio non ha voluto o potuto fornire alcun dato. In particolare, non ci ha voluto o potuto dire quanti anni è durata la sperimentazione (uno solo, a quanto ci risulta da fonti ufficiose, ma potremmo sbagliarci) nè quali siano i risultati in termini di rese – probabilmente inferiori del 30-40% alla risicoltura convenzionale – e di tecniche attuate, che dovrebbero essersi limitate alla pacciamatura con teli plastici. Nè, infine, che tipo di risaia sia stata utilizzata, il che è dirimente per valutare la banca semi delle infestanti. Poiché il comunicato vantava la « la collaborazione di diversi soggetti tra cui il Consorzio di Tutela, Grandi Riso, Ente Nazionale Risi» ci siamo rivolti al massimo competente tecnico tra gli enti citati, l’Ente Risi, il quale ci ha risposto di non aver avuto alcun ruolo tecnico in questa operazione. Attendiamo fiduciosi di saperne di più… Autore: Paolo Viana