«Cinquecento euro (e rotti) a tonnellata. E’ il differenziale di prezzo tra il risone convenzionale e quello biologico e questa differenza sta spaccando la filiera risicola». Inizia così l’articolo di Sarah Pellegrini su L’Informatore Agrario n°42: Riso biologico, i conti non tornano. Anche la rivista nazionale di agricoltura affronta dunque il tema spinoso del “finto” riso bio, un caso che sarebbe esploso, secondo l’articolista, per via del «mal di pancia dei vecchi coltivatori biologici: il settore è esploso e loro masticano amaro vedendo le risaie certificate del vicino “naturalmente” immuni dal brusone e senza la minima traccia di giavone bianco. Come si sa, per commercializzare riso biologico, dopo un biennio di conversione, occorre dotarsi della certificazione rilasciata da società private accreditate. La certificazione presuppone che l’impresa agricola non tratti il riso con prodotti di sintesi chimica. Se poi il produttore vuole accedere alle misure specifiche per il settore previste dai Psr deve però assoggettarsi anche a specifici controlli pubblici. In tempi di vacche magre, un fastidio sopportabile, se non si ha nulla da nascondere. Ora c’è chi sostiene che il finto riso bio esiste e va fermato». L’articolo prosegue elencando dati del Sinab e delle Regioni e dedica un ampio spazio alla lettera aperta invata all’Europa dall’Anga, lettera che è un autentico rapporto su questo caso. Tutta la documentazione citata è reperibile nell’archivio di Risoitaliano.eu. Per reperire invece l’articolo del giornale occorre richiederlo alle edizioni l’Informatore Agrario. (20.11.14)