La sentenza di un tribunale americano di attribuire all’uso del glifosate la causa di un tumore-non Hodgkin che ha colpito un utilizzatore del prodotto, con la condanna della Monsanto al pagamento di quasi 300 milioni di dollari, riapre il dibattito sui rischi dell’impiego di questo erbicida, dando nuova energia ai suoi numerosi detrattori.
La grande stampa ha subito dato notizia della sentenza, in molti casi con toni di malcelata soddisfazione per il riconoscimento ufficiale di una verità a lungo sostenuta, ma sempre ignorata, a causa di presunti interessi del potere industriale. Il caso glifosate ha dato la stura ad un nuovo processo mediatico all’uso dei prodotti chimici nella produzione agricola. Non poteva mancare in questo coro anche la voce del fondatore di Slow Food, Carlin Petrini, che ha attribuito “all’uso smodato di queste sostanze l’aumento di allergie e il dilagare di malattie preoccupanti” (da “La Stampa” di Torino), ignorando il contributo che questi prodotti sono in grado di fornire al miglioramento quantitativo e qualitativo ed anche sanitario (se si considera ad esempio il contenimento delle micotossine) delle produzioni agricole, oltre a non considerare che la “chimica” è un aspetto legato alla nostra esistenza. Sono “chimica” composti come l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, così come sono “chimica” anche i potenti veleni prodotti dalla natura o i gas di scarico emessi dai mezzi di trasporto, responsabili di migliaia di morti all’anno.
Per quanto riguarda il glifosate, ritengo sia irresponsabile e disonesto cercare il consenso, utilizzando slogan, confronti e riferimenti inappropriati e allarmistici (come ad esempio il DDT o l’amianto) o ricorrendo al pensiero degli esponenti dei vari movimenti “no glifosate”, spesso intriso di visioni fideistiche e poco incline all’analisi scientifica. In questo caso, io continuo a credere che i metodi universalmente riconosciuti della ricerca siano i soli strumenti in grado di fornire delle risposte attendibili alle varie problematiche sollevate dall’uso del glifosate. Per questa ragione, credo alla correttezza dei pareri sull’assenza di rischi cancerogenici di questo prodotto espressi da Organismi internazionali autonomi, non legati ad alcun interesse economico quali EFSA (Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare) ECHA (Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche) FAO e OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). Autore: Aldo Ferrero, Università di Torino