In questi mesi, visitando l’Expo di Milano e le iniziative collegate, ne abbiamo viste e sentite di tutti i colori. Una delle novità più avveniristiche sotto il profilo tecnico è sicuramente l’irrigazione a goccia del riso, sviluppata per la prima volta in Israele negli anni scorsi e definita da chi la propone «una frontiera dell’applicazione di tecnologie consolidate al servizio del riso». Nell’ambito di un convegno tenutosi a Lodi il 17 settembre e che serviva a convincere gli agricoltori sui benefici di questa tecnologia ci si è spinti a sottolineare che «nonostante i suoi vantaggi in termini produttivi ed ambientali, è ancora scarsamente applicata». Vero. E una ragione ci sarà, anche se il Parco Tecnologico di Lodi (PTP) e Netafim, la società che vende questa tecnologia, non l’hanno né evidenziata, né spiegata, né contestata.
Andiamo con ordine: al convegno su “Uso dell’acqua e sostenibilità delle produzioni risicole: una prospettiva globale”, definito «appuntamento clou del progetto Demo Field Agriculture of Tomorrow coordinato dal PTP in partnership con 18 aziende private» si sono dette le solite cose sul riso: alimento base nel mondo, cultura tipica del made in Italy, ecc. Tra le tante sfide del settore, è stato detto tra l’altro, vi è l’utilizzo dell’acqua. Vero, ma non nei termini evidenziati al convegno. Nel senso che le evidenze che valgono ad alcune latitudini possono essere capovolte altrove. Se, ad esempio, è vero che l’aumento della popolazione renderà drammatici alcuni problemi, compresa la minor disponibilità di acqua dolce, non è detto che la soluzione da dare a questo problema possa funzionare ovunque.
Leggiamo cosa dice lo sponsor del convegno: «L’esperienza del Demo Field – ha sottolineato Eli Vered, Agricultural R&D Energy & Field Crop Manager di Netafim – dimostra che abbiamo una possibile soluzione per l’agricoltura del futuro su piccola scala: coltivare in tutti i tipi di terreno e di topografia e irrigare usando sistemi di pompaggio alimentati da energia rinnovabile. In particolare, la tecnologia di irrigazione a goccia elaborata da Netafim non solo è decisiva per estendere la risicoltura a terreni dove non si può irrigare per sommersione, ma ci aspettiamo possa rappresentare in futuro la prima scelta per coltivare il riso in maniera efficiente e sostenibile, dato che permette un risparmio considerevole di acqua e sostanze nutritive a parità di obiettivi produttivi». Per dimostrare queste tesi, a Lodi, a pochi metri dal PTP, è stata allestita una parcella di riso di 1.000 m2 irrigato a goccia: un terzo di questa superficie è costituito da un pendio artificiale, per mostrare le potenzialità dell’irrigazione su riso in aree marginali dove è impossibile praticare la coltivazione tradizionale in sommersione. Ecco i risultati: «Oltre a un risparmio idrico del 45-50% rispetto alla sommersione tradizionale, la tecnica della goccia permette infatti di risparmiare fino al 30% dei fertilizzanti normalmente utilizzati, con minore inquinamento delle falde sottostanti, riduzione delle emissioni di gas serra e incremento delle rese del 20-40%» attestano al Ptp.
Alla base dell’operazione vi è evidentemente una strategia commerciale: «Il futuro del riso è a goccia, per le molteplici implicazioni positive di tipo agronomico, produttivo ed economico implicite in questa rodata e al contempo innovativa tecnica irrigua – ha sottolineato infatti al convegno Alberto Puggioni, Responsabile Agromarketing di Netafim Italia – In particolare, sono davvero notevoli le implicazioni ambientali connesse alla riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra: si potrà coltivare riso fuori dal sistema risaia, inserirlo in rotazioni colturali da reddito, produrlo su suoli marginali o addirittura in pendenza con il supporto del sistema Netafim e delle competenze sviluppate in 10 anni di studi nel mondo risicolo».Legittimo. Ma applicabile in Italia? Secondo noi no, oppure in modo estremamente marginale. Primariamente perché non sempre ciò che funziona in un campo sperimentare dalle dimensioni ridotte funziona anche in un areale più ampio. Nello specifico, questa tecnologia, se venisse applicata a tutta la pianura risicola italiana o a una parte significativa di essa comporterebbe una rivoluzione dell'assetto idrogeologico: non si avrebbe più l'alimentazione e l'innalzamento delle falde a seguito della sommersione, addio dunque ai fontanili, all'immagazzinamento delle acque primaverili derivante dallo scioglimento delle nevi basse, restituite a fine estate, ma non alla rete dei canali, la quale andrebba mantenuta comunque per allontanare le piogge, con costi che dunque rimarrebbero. Inoltre, le perdite di azoto aumenterebbero anzichè diminuire, in quanto l'azoto si troverebbe in forma di nitrato, molto solubile e dilavato dalle piogge, mentre in sommersione l'azoto è in forma ammoniacale e non percola. Non ci sarebbero emissioni di metano, certo, ma crescerebbero quelle di ossidi di azoto che hanno un effetto serra per unità maggiore del metano. Senza contare i costi del sistema di irrigazione a goccia.
Questo non significa che siamo pregiudizialmente contrari alla soluzione proposta: riteniamo però che per valutare l'effettiva efficacia di questa tecnologia servirebbe un bilancio tra vantaggi e svantaggi, redatto a livello di comprensorio, servirebbe un modello e un confronto più aperto, proprio perché la materia è di grande importanza e non merita neppure il lontano sospetto di essere un'expoillusione, come purtroppo lo sono invece altre "soluzioni" ai problemi dell'agricoltura che vengono propalate in questi mesi attraverso la kermesse espositiva. Autore: Paolo Accomo. (22,09.2015)