Tra le voci che si sono levate in difesa del riso italiano nei giorni scorsi c’è anche quella del popolare scrittore Sebastiano Vassalli, autore de La Chimera e di altre opere che hanno diffuso la cultura delle genti di pianura. «La coltivazione del riso, di cui si è tornati a parlare per le proteste degli agricoltori contro le importazioni a dazio zero di riso asiatico – ha scritto recentemente sul Corriere della Sera – è arrivata in Italia e precisamente in Sicilia prima dell’anno Mille. Niente di paragonabile alle risaie di oggi. Pochi campi vicino alle foci dei fiumi e in qualche zona paludosa: ma le arancine di riso, che a Palermo sono femmine e nel resto della Sicilia sono maschi («gli arancini») nascono così. Oggi in Sicilia non si coltiva più il riso: tutto si è trasferito nella pianura del Po fino dal Quattrocento, ed è diventato un affare di Stato. I Visconti, e soprattutto gli Sforza hanno contribuito a creare l’ambiente della risaia: non molti lo sanno, ma il grande Leonardo da Vinci ha disegnato macchine per questo scopo che ancora si possono vedere al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, e ha lavorato alla canalizzazione delle acque soprattutto nel novarese. Su un canale d’irrigazione chiamato Roggia Mora in onore di Ludovico il Moro, è ancora visibile un ponte dall’elegante profilo rinascimentale che pare sia stato progettato proprio da Leonardo. La storia del riso nella pianura del Po è una lunga storia, che ha avuto luci e ombre e che ha fatto morire molti uomini, costretti a lavorare in condizioni disumane. Le «gride» degli spagnoli, inefficaci ma certamente attendibili, lasciano intravvedere una realtà che nessuno mai potrà raccontare perché se ne sa troppo poco. Le mondariso, e poi i diserbanti chimici, sono soltanto il passato prossimo e il presente di quella realtà. E ora tutto rischia di scomparire per il riso della Cambogia. Signori della Comunità Europea, per favore fate qualcosa». (05.08.14)
DIECI ANNI DI LAVORO PER IL RISO
Intervista al past president del gruppo riso di Copa Cogeca, Giuseppe Ferraris