Lo scorso 1 giugno la Commissione europea ha reso noti i testi legislativi della proposta di riforma della Politica Agricola Comunitaria (PAC) per il periodo 2021-27. (SCARICA I DOCUMENTI IN ITALIANO: riforma pac giu 2018 regolamento generale , riforma pac giu 2018 Allegato piani strategici , riforma pac giu 2018 Allegato al finanziamento , riforma pac giu 2018 finanziamento e monitoraggio, riforma pac giu 2018 regimi qualità). Dai primi commenti degli esperti traspare una certa preoccupazione per il “taglio” dei fondi disponibili, che corrisponde ad una media lineare del 5% circa rispetto alle dotazioni dell’ultimo anno della PAC corrente, ovvero al 2020. Un taglio che per l’Italia ammonterebbe tuttavia a quasi il 7% a moneta corrente (il che induce ad ipotizzare una riduzione della risorse a regime intorno al 15-18% a moneta costante … sempre ammesso che il nostro Paese permanga nell’eurozona fino al 2027…).
Tuttavia da una prima sommaria lettura della corposa documentazione prodotta dalla Commissione la riduzione delle risorse disponibili -peraltro prevedibile e tutto sommato meno impattante di quanto ipotizzassero alcuni osservatori- sembra apparire come uno degli elementi meno preoccupanti della proposta di riforma. Gli elementi di riflessione e di preoccupazione che emergono da una prima analisi della mole di testi legislativi (la sola bozza di regolamento è un tomo di ben 142 articoli, cui si aggiungono allegati, annessi, premesse e prospetti vari … con buona pace degli intenti di “semplificazione” dichiarati dalla Commissione UE) appaiono legati piuttosto all’impostazione generale della proposta di riforma. Benché in essa appaia con frequenza il riferimento alla “ambizione” della riforma stessa, i contenuti effettivi ad un primo esame sembrano alquanto deludenti, perlomeno se visti nell’ottica di chi guarda all’agricoltura come attività imprenditoriale, economica, produttiva e non assistita e residuale. In premessa la proposta di riforma dichiara di perseguire nove obiettivi: assicurare un equo reddito agli agricoltori, incrementare la competitività, riequilibrare i rapporti di filiera, favorire il ricambio generazionale, dare vivacità alle zone rurali, tutelare qualità e sicurezza alimentare, preservare la biodiversità, proteggere l’ambiente, agire sui cambiamenti climatici. Nel testo tuttavia l’attenzione della Commissione sembra concentrarsi quasi esclusivamente sugli ultimi due o tre aspetti, trascurando o addirittura contraddicendo in maniera più o meno marcata gli altri.
In specie la proposta di riforma prevede: una netta procedura di “rinazionalizzazione” delle politiche agricole; un ulteriore rafforzamento degli obblighi di “condizionalità”, con possibilità di penalizzazione dei produttori agricoli nel caso in cui i progressi in tal senso dovessero essere giudicati “insufficienti” da non si capisce bene quale organo superiore; un deciso taglio dei contributi (“capping”) per le aziende di maggiori dimensioni; una netta priorità per le azioni destinate, secondo la Commissione, al contrasto dei presunti cambiamenti climatici, cui potrebbe essere destinato fino al 40% del budget agricolo europeo (ed almeno il 30% delle dotazioni destinate al “secondo pilastro”, quello dello sviluppo rurale).
La procedura di “rinazionalizzazione” della PAC prevista dalla bozza verrebbe demandata a singoli Piani Strategici Nazionali in cui ogni Stato membro dovrebbe indicare le proprie necessità, i propri obiettivi e le misure specifiche per raggiungerli divise per ciascuno dei due “pilastri” (quello dei sostegni diretti e quello dello sviluppo rurale) su cui si fonda la PAC medesima. Ogni Piano Strategico Nazionale dovrebbe essere sottoposto al preventivo assenso della Commissione, che dovrebbe verificarne l’aderenza con gli obiettivi generali della PAC e l’assenza di effetti discorsivi sul mercato, fornendo indicazioni “correttive” nel caso in cui i risultati fossero inferiori alle attese. Quello delineato dalla bozza appare quindi un percorso alquanto complesso, in cui gli spazi effettivi per le politiche agricole “rinazionalizzate” potrebbero rivelarsi, una volta che i Piani Strategici Nazionali saranno sottoposti al vaglio UE, molto meno ampi di quanto non sembri all’apparenza.
L’ulteriore rafforzamento dei vincoli di condizionalità a carico delle imprese agricole dovrebbe passare attraverso l’introduzione dell’obbligo di un “nutrient management tool” (che sembrerebbe delineare l’obbligatorietà di un piano di fertilizzazione, cosa di per sé auspicabile) e di non meglio definite misure per la protezione dei suoli ricchi di carbonio organico. Gli obblighi di “diversificazione colturale” previsti dall’attuale “greening” dovrebbero essere rimpiazzati da un vincolo di rotazione obbligatoria (sulla cui praticabilità tecnica in certi comprensori dell’areale risicolo italiano è lecito nutrire più di un dubbio) cui si aggiungono le immancabili indicazioni per la riduzione dell’uso dei “pesticidi” e per l’incremento della “bioeconomia”. Inoltre si prefigura, con una formulazione che suscita più di una perplessità, la possibilità di riduzione o sospensione dei contributi qualora i risultati raggiunti sul fronte climatico-ambientale fossero giudicati inferiori agli obiettivi attesi, che vengono qualificati come immancabilmente “ambiziosi”.
Secondo quanto si legge nel documento riassuntivo proposto dalla Commissione, la nuova PAC si “focalizza fortemente a favore delle piccole e medie aziende agricole”. Per questo viene prevista una progressiva riduzione dei pagamenti superiori ai 60 mila euro ed un taglio totale degli importi eccedenti i 100 mila euro. Una misura che certamente farà discutere, e che sembra indicare la volontà della Commissione di “inchiodare” all’attualità le possibilità di sviluppo e di incremento della maglia aziendale dell’agricoltura europea, penalizzando al tempo stesso le imprese più strutturate e potenzialmente più competitive sul mercato internazionale. Sembrerebbe comunque confermarsi il sistema dei pagamenti diretti, destinati solo a “veri agricoltori” i cui criteri identificativi sembrano ancora da definire. I pagamenti diretti (art.14) dovrebbero essere divisi tra a) pagamenti diretti per la “sostenibilità”, b) pagamenti “redistributivi”, c) incentivo per i giovani agricoltori, d) pagamenti climatico-ambientali, che sembrerebbero basati su requisiti più ”vincolistici” di quelli dell’attuale “greening”. Ad essi potrebbero aggiungersi, secondo uno schema che non sembra discostarsi di molto da quello della PAC attualmente in essere, i pagamenti “accoppiati” per settori produttivi in crisi (il riso, a norma di art.30, sarebbe tra le colture ammissibili) ed il pagamento accoppiato per il cotone, unica coltura per cui tale opzione viene prevista di default (anche se solo per coltivazioni attuate in Bulgaria, Grecia, Portogallo e Spagna). Il “pagamento di base” dovrebbe essere uniformato per ogni ettaro eleggibile all’interno del singolo Stato Membro (art.18), anche se con possibilità di “regionalizzazione” per aree omogenee (aspetto che potrebbe risultare più o meno penalizzante per un settore come quello del riso che ha tradizionalmente “titoli” di contribuzione di valore superiore alla media). La bozza di regolamento demanda peraltro ad ogni singolo Stato membro la scelta se conservare un sistema basato sui “titoli” o se implementarne uno nuovo (art. 19).
Non sembrano consolare il previsto stanziamento di 10 mld di euro all’attività di ricerca e di assistenza -di cui si fatica a cogliere l’effettiva valenza strategica nell’attuale contesto poco favorevole all’applicazione della metodologia scientifica- né il modesto 2% di budget prioritariamente destinato all’ingresso di giovani agricoltori.
Non sembra viceversa prendere corpo l’ipotesi, che pure aveva suscitato qualche interesse tra gli economisti ed i tecnici agrari di formazione liberale, di attribuire alla PAC una funzione di tipo “assicurativo” della stabilità dei redditi, riducendo al tempo stesso i vincoli e le limitazioni alla libertà d’impresa in un’ottica più orientata alla funzione economica dell’agricoltura, in modo da tutelarne la produttività e di conseguenza la competitività a livello internazionale.
Al contrario l’impianto generale della proposta della Commissione sembra delineare un modello di agricoltura assistita da una sorta di gigantesco anche se decrescente “reddito di cittadinanza”, in cui la funzione economica e produttiva apparirebbe marginalizzata. Ed in cui il combinato disposto tra maggiori vincoli all’attività agricola interna e maggiori concessioni alle importazioni da Paesi Terzi sembra prefigurare una crescente dipendenza alimentare dell’Europa dall’approvvigionamento da fonti esterne all’UE.
La discussione è comunque solo all’inizio. La bozza di riforma della PAC proposta dalla Commissione andrà sicuramente sottoposta ad analisi più approfondite e qualificate (da segnalare i prossimi convegni di UNICAA col prof. Frascarelli il 20 giugno e della “Casa dell’Agricoltura” di Milano il 21 giugno con il prof. Casati ed altri qualificati relatori). Certamente nei prossimi giorni sarà possibile avere valutazioni autorevoli, cui chi scrive rimanda il lettore di Riso Italiano. D’altro canto non mancheranno le prese di posizione di portatori d’interesse e di organismi tecnici e rappresentativi (giova ricordare il significativo ruolo svolto da Ente Risi in occasione delle precedenti riforme).
A livello istituzionale sembra rilevarsi una certa irritazione del Parlamento Europeo per l’accelerazione imposta all’iter della riforma da una Commissione comunque prossima alla scadenza del mandato (si voterà nel 2019 e la riforma definitiva sarà approvata dopo un confronto tra Commissione e Parlamento, oltre che dal Consiglio dei Ministri Agricoli, scaturiti dal conseguente processo di rinnovo).
Certamente si tratterà di un significativo banco di prova per il neo ministro dell’Agricoltura e del Turismo, il leghista pavese Gian Marco Centinaio. Dalle sue iniziative si capirà se vorrà tutelare la funzione economica e produttiva dell’agricoltura italiana o se riterrà prioritari altri aspetti, dai presunti cambiamenti climatici alla “biodiversità” così spesso citata a sproposito. Argomenti interessantissimi e meritevoli di attenzione ma coi quali (per parafrasare un’affermazione attribuita ad un altro politico pavese seppure d’adozione, l’ex ministro Giulio Tremonti) … non si mangia. Che, considerata una popolazione mondiale di sette miliardi e mezzo di individui con trend crescente, a fronte di 1,5 miliardi di ettari di terreno coltivabile (ovvero appena 2000 mq pro capite), non appare un aspetto propriamente trascurabile. Autore: Flavio Barozzi, dottore agronomo