Ne abbiamo parlato sulle nostre pagine già lo scorso giugno dove l’Ente Risi ha annunciato l’approvazione di un progetto triennale di monitoraggio del territorio risicolo italiano. L’obiettivo è valutare la presenza di cadmio (oltre a quella di arsenico e nichel), nei suoli di risaia e nella granella di riso. Qui si effettueranno prove sperimentali in ambiente controllato e in pieno campo. Si studierà, ad esempio, l’effetto della gestione dell’acqua.
IL TEMA NON E’ NUOVO
Il tema delle contaminazioni da cadmio che, di recente, è tornato a “riscaldarsi” è in realtà sui tavoli di ricercatori, amministratori e agricoltori già da tempo. La letteratura scientifica internazionale ne studia i meccanismi di accumulo nella pianta di riso. A ciò si aggiungono le pratiche possibili per il suo controllo, da almeno un decennio. Quando parliamo di contaminazioni non ci stiamo riferendo ad eventi di ampia portata. Eventi che ormai si ritrovano nelle pagine di storia – come fatti accaduti nel lontano oriente. Qui si verificarono veri e propri avvelenamenti dovuti ad atti illeciti – , ma alla naturale tendenza del riso ad accumulare determinate quantità di questo metallo pesante. Si tratta di fenomeni del tutto fisiologici e, in quanto tali, controllabili attraverso tecniche già note o in via di sperimentazione.
LA NORMA EUROPEA
Ricordiamo che la normativa europea prevede dei limiti di presenza di cadmio totale nel riso che, nel 2021, si sono ulteriormente abbassati a tutela dei consumatori. Si parla di 0,15 mg/ kg e di 0,04 mg/ kg per il cosiddetto baby food. Si tratta dell riso utilizzato per l’industria di preparazione di alimenti destinati a lattanti e bambini (così come avviene per arsenico e micotossine, secondo il Reg. UE 488/ 2014).
Il cadmio (Cd) è un metallo che non ha funzioni biologiche negli esseri umani. Tuttavia, la sua pericolosità deriva dal fatto che è in grado di mimare altri metalli bivalenti come lo zinco. Quest’ultimo è un elemento essenziale nella fisiologia degli organismi animali. In questo modo, il cadmio può facilmente attraversare numerose membrane biologiche ed essere assorbito da alcuni organi. I tempi di eliminazione sono notevoli. L’esposizione acuta è associata a diverse patologie a causa della sua neurotossicità, cancerogenicità e genotossicità. Si avrebbero effetti deleteri sulla riproduzione umana.
INFLUENZA DELL’AGROTECNICA
La concentrazione di cadmio nella granella di riso è fortemente influenzata dalle tecniche di gestione dell’acqua. E anche dall’andamento climatico. In particolare, durante la fioritura e la maturazione cerosa. Infatti, l’asciutta può portare a «notevoli incrementi dell’elemento in granella». Così è comprensibile, ad esempio, la criticità riscontrata per il raccolto dello scorso anno.«Le condizioni di forte siccità verificatesi nel 2022 evidenziano come l’accumulo del cadmio nel riso è strettamente connesso alle condizioni di gestione dell’acqua» ha dichiarato l’Ente Risi.
IN UNO STUDIO DEL 2019 SOLO 4% CAMPIONI HA CONCENTRAZIONE SOPRA SOGLIA
Un precedente monitoraggio dell’Ente Risi, predisposto su campioni provenienti dall’annata agricola 2019 e presentato nel 2022, ha indagato i livelli di cadmio (insieme a quelli di arsenico) in 80 campioni di riso selezionati per includere le province a maggior coltivazione risiera tra Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Sardegna. I risultati hanno mostrato come «il 72% dei campioni analizzati» avessero «una concentrazione inferiore a 0,04 mg/Kg (valore limite per i baby food).
Solo il 4% invece risultava avere un valore superiore a quello massimo tollerato all’epoca del monitoraggio (pari a 0 20 mg/Kg). Oggi i range considerati potrebbero essere rivisti nell’ottica dei nuovi limiti di legge in vigore in tal caso, la percentuale di campioni non conformi al limite di legge sarebbe pari al 6%». Come ha dichiarato lo stesso Ente Risi: «in Italia la contaminazione del riso da metalli pesanti è un evento che si presenta raramente, grazie anche alle tecniche di gestione dell’acqua in risaia messa a punto dai risicoltori».
FOCUS SULLA SUPPLY CHAIN CADMIO
Uno studio internazionale del 2020 ci può dare un’idea della dimensione del problema nella supply-chain globale. Un gruppo di ricercatori ha analizzato 2.270 campioni acquistati da distributori in 32 paesi attraverso 6 continenti. A livello globale, i ricercatori hanno osservato che il riso proveniente dall’Africa orientale presentava la minore presenza di cadmio. La mediana in Malawi e Tanzania è di 4,9 μg/kg, un ordine di grandezza inferiore rispetto al paese che presentava la maggiore concentrazione, ovvero la Cina con una mediana di 69.3 μg/ kg. Il continente americano presentava valori limitati, a differenza del sub-continente indiano, in particolare per il Bangladesh – aspetto rischioso considerato il peso del riso nell’alimentazione della popolazione locale -.
Rispetto ai valori soglia a livello Europeo (all’epoca 200 μg/kg), il 5% della supply-chain globale superava questa soglia; considerando, poi, la soglia per il baby food, il 25% non risultava adeguato.
La notizia confortante è che la comunità scientifica ha analizzato e studia ancora i meccanismi che portano all’accumulo del cadmio in granella, così come le possibili modalità di azione da mettere in atto per limitarne la concentrazione ed evitare rischi per la salute dei consumatori.
GLI STUDI INTERNAZIONALI Cadmio
Numerosi sono gli studi provenienti dall’Asia, considerata l’importanza fondamentale che il riso ha nell’alimentazione umana in questo continente.
Tra i fattori influenzanti i livelli di concentrazione nella pianta di riso, oltre al potenziale redox del suolo (strettamente connesso al tema della gestione dell’acqua, tra sommersione ed asciutta), vi sono quelli che determinano l’uptake e il trasporto dell’elemento nella pianta che sono riconducibili al contenuto di sostanza organica del suolo, all’abbondanza relativa di sostanze nutritive e all’interazione tra i loro effetti, oltre che alla cultivar specifica.
Se guardiamo, invece, alle pratiche agronomiche possibili per risolvere il problema, ne sono studiate numerose. Sono note in letteratura quelle in grado di agire sull’immobilizzazione del cadmio nel suolo (tra cui ammendamento, gestione del pH, fertilizzazione, gestione dell’acqua, lavorazioni del suolo), sulla sua riduzione nel suolo (con il cosiddetto fitorisanamento, anche attraverso microrganismi) e sulla riduzione dell’uptake da parte della pianta (anche qui attraverso l’azione di microrganismi, la selezione e il breeding di nuove cultivar, le tecnologie OGM o l’induzione di mutazioni favorevoli).
GENETICA E BIOLOGIA MOLECOLARE
La biologia molecolare e la genetica offrono prospettive promettenti sul tema. Nel 2022 ricercatori giapponesi dell’Università di Okayama hanno scoperto che la duplicazione di un gene transporter del cadmio presente nella varietà Pokkali è responsabile dell’accumulo dell’elemento nella pianta e nella granella. Hanno, quindi, introdotto questo tratto nel genoma di una cultivar differente di riso. Qui si nota un ridotto accumulo con nessun effetto sulla resa e sulla qualità, fornendo così un utile target per la selezione di varietà a basso accumulo.
In particolare, le tecniche di CRISPR/ CAS9 potrebbero portare a soluzioni ammissibili anche in Europa, visti gli ultimi progressi sul tema TEA a livello regolamentare. Ricercatori cinesi di Guangzhou hanno studiato il gene OsLCD. Quest’ultimo è implicato nell’accumulo di cadmio nel riso, creando dei mutanti in cultivar indica e japonica. Così in ambienti contaminati da cadmio, hanno osservato una riduzione nell’accumulo rispetto ai wild type. Pertanto, si apre la strada alla produzione di germoplasma potenzialmente commerciabile in un futuro non troppo lontano.
L’APPROCCIO MICROBIOLOGICO
Anche i microrganismi, come citato in precedenza, possono aiutare. Ad esempio, nel 2008 ricercatori tailandesi avevamo studiato l’azione di batteri selezionati in aree contaminate da cadmio. Si capì che piante di riso cresciute in presenza di C.taiwanensis (a determinate concentrazioni ed in un determinato periodo di tempo dopo la germinazione) presentavano una concentrazione dell’elemento inferiore del 61%.
Certamente, per poter applicare soluzioni efficaci oggi, è necessario che gli agricoltori possano fare riferimento a pratiche non futuribili ma direttamente applicabili, i cui effetti siano verificari da prove in campo, oltre che in laboratorio.
Tra queste, è dimostrato che l’applicazione di calce al suolo ha un effetto sulla riduzione della concentrazione di cadmio in granella. Ciò è confermato dalla letteratura internazionale. Ad esempio in Cina. Qui ci sono seri problemi di contaminazione – in particolare nel sud del paese – , ha confermato sperimentalmente l’effetto positivo di riduzione dei livelli tanto nella rizosfera quanto nella granella di riso.
UNA LINEA GUIDA DA REGIONE LOMBARDIA
Tornando al contesto italiano, dobbiamo ricordare che esistono strumenti accessibili ai risicoltori. Strumenti approvati dalla comunità scientifica di riferimento. E’ da citare, senza dubbio, il manuale contenente le linee guida prodotte nell’ambito del progetto “Riso baby food: un mercato da riconquistare” finanziato da Regione Lombardia mediante il FEASR. Il volume vede la partecipazione di Ente Risi, Università Cattolica e Università degli studi di Torino, oltre a tre aziende agricole. Obiettivo del progetto era “trasferire e validare direttamente nelle aziende quelle tecniche e strategie agronomiche che a livello di ricerca hanno mostrato le migliori performance nel ridurre la presenza di arsenico (As), cadmio (Cd) e micotossine”.
LE TRE AZIONI PER RIDURRE L’ACCUMULO DI CADMIO
Relativamente al cadmio, le indicazioni concrete comunicate ai risicoltori per ridurre l’accumulo in granella sono riconducibili a tre aree di azione di cui riportiamo alcuni stralci.
- Utilizzo della calce: «è buona pratica la distribuzione di 1t/ha di calce, con un contenuto minimo di Ossido di calcio (CaO) dell’85%, prima dell’aratura oppure su terreno livellato prima dell’erpicatura; mediamente con l’utilizzo della calce si registrano riduzioni medie del contaminante in granella pari al 50% rispetto ai testimoni non calcitati».
- Gestione dell’acqua: «la sommersione continua unita all’attenta scelta del momento per l’asciutta finale permette di contenere i valori di cadmio su valori molto bassi che di solito rientrano all’interno dei limiti di legge. Al fine di evitare indesiderati incrementi di cadmio il drenaggio finale deve essere eseguito non prima della fase fenologica di maturazione cerosa avanzata; quindi dalla botticella sino alla maturazione cerosa avanzata il terreno deve rimanere sommerso».
- Scelta varietale: «dal biennio di prove di confronto varietale si sono ottenuti i seguenti risultati: lunghi B: CL 26 è la varietà con il minor accumulo di cadmio mentre CL XL 745 ha registrato i valori più elevati; tondi: Selenio ha registrato il minor accumulo mentre Terra CL ha registrato i valori più elevati».
E‘ importante sottolineare quanto l’applicazione di certe tecniche agronomiche può essere favorevole per la riduzione del cadmio e portare ad incrementi di arsenico, e viceversa. In particolare se si guarda alla gestione dell’acqua e alla scelta varietale. Le linee guida pubblicate indicano nel dettaglio come poter gestire questo fisiologico trade off. Autore: Azzurra Giorgio
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