In un precedente articolo (https://www.risoitaliano.eu/senza-diserbo-dire-addio-al-riso/ ) si ribadiva il fondamentale concetto per cui la protezione delle colture va sempre impostata sulla base di un approccio integrato, che compendi vari strumenti e mezzi di difesa rispetto alle avversità biotiche. Nel caso del riso, l’utilizzo dei mezzi chimici -che può essere ridotto ed in alcuni casi addirittura evitato nella difesa dagli insetti ed in minor misura nella difesa dai patogeni fungini- resta allo stato attuale sostanzialmente insostituibile per una difesa dalle erbe infestanti che sia al tempo stesso efficace ed ambientalmente sostenibile.
Non è neppure il caso di commentare qualche reazione ideologicamente polemica (ma del tutto priva di argomentazioni tecnico-scientifiche) alla constatazione di questo dato di fatto. Tuttavia, dato che il problema del controllo della flora infestante va affrontato seriamente, con la razionalità e la tecnica e non con “carrozzoni burocratici” inutili o dannosi, vale la pena di fare qualche ulteriore considerazione di rigoroso carattere agronomico sul tema.
Ricorso al diserbo meccanico
Ogni agronomo serio conosce bene la necessità di integrare ove possibile il ricorso al diserbo chimico con altre pratiche che contribuiscano alla limitazione delle infestanti e di conseguenza consentano di limitare al minimo indispensabile l’apporto di prodotti fitosanitari. Le pratiche cui ricorrere possono essere diverse e fornire risultati più o meno significativi in funzione di vari fattori. Tra le pratiche di più recente introduzione è forse utile soffermarsi sull’utilizzo di strumenti di diserbo meccanico nel caso di riso seminato a file interrate (con l’impiego di erpici strigliatori) e sugli effetti della tecnica della sommersione invernale della risaia rispetto alle malerbe infestanti.
Il diserbo meccanico effettuato mediante utilizzo di erpici strigliatori è una pratica essenzialmente fondamentale nel caso di risicoltura veramente “biologica” attuata su risaia seminata all’asciutto a file interrate. Il ricorso a numerosi passaggi (anche 7-8 distanziati di alcuni giorni) con erpice strigliatore o con altri strumenti atti a svellere ed estirpare le plantule delle infestanti nei primissimi stadi di sviluppo dovrebbe consentire alla coltura di svilupparsi senza eccessiva competizione delle malerbe perlomeno nell’interfila e nelle fasi iniziali. Alcuni “biorisicoltori” autentici (quelli fasulli non meritano alcuna attenzione, a parte quella che dovrebbero ricevere dalle Procure della Repubblica) hanno maturato notevoli esperienze in questo senso, utilizzando attrezzature complesse, talora dotate di costosissimi sistemi di controllo e di guida parallela di precisione. A prescindere da altre valutazioni più complessive sulla reale “sostenibilità” della tecnica (rapporto tra CO2 fissata ed emissioni GHG, water use efficiency, ecc.) i risultati ottenuti sono comunque alquanto variabili, con percentuali di controllo delle malerbe talora accettabili, in altri casi gravemente insufficienti o addirittura tali da determinare il completo fallimento della coltura.
Con la diffusione ormai generalizzata della tecnica di semina a file interrate l’utilizzo dell’erpice strigliatore acquista tuttavia un notevole interesse anche nella risicoltura “intensiva” (che forse sarebbe più corretto definire “tecnologica” o ad elevata efficienza di utilizzo dei fattori).
Il passaggio di erpice strigliatore
L’attuazione di un passaggio di erpice strigliatore nei primi 10-20 giorni dalla semina può in effetti rappresentare un valido aiuto per limitare le infestanti (specie in presenza di nascite scalari per cui la momento dell’effettuazione del diserbo chimico di post si trovano plantule appena emerse accanto ad altre molto sviluppate) integrando ed agevolando i successivi interventi con erbicidi di sintesi, che dovranno comunque essere attentamente calibrati in funzione della flora presente, dello stato della coltura e delle condizioni pedoclimatiche generali.
I fattori limitanti sono legati (oltre che alla regolazione dell’attrezzatura e delle corrette modalità operative) alla natura dei suoli ed all’andamento meteo. Gli erpici strigliatori forniscono risultati generalmente buoni su terreni sciolti, mentre in presenza di suoli limo-argillosi (che caratterizzano vaste zone di antica natura paludosa dell’areale risicolo) l’impiego dello strigliatore appare alquanto complesso. In questi casi, se il suolo è troppo umido l’erpice tende a schiacciare anche la coltivata (se non ad impantanarsi), mentre se il terreno è asciutto e secco gli utensili dell’erpice “saltellano” senza neppure scalfire la crosta o addirittura si spezzano al contatto con zolle spesso di notevole dimensione.
Ne consegue che anche l’andamento climatico risulta condizionante, in quanto su terreni “leggeri” è possibile operare anche a breve distanza da eventuali piogge, mentre su suoli “pesanti” o compatti la finestra operativa può risultare estremamente limitata. L’intervento di diserbo meccanico propedeutico ed integrativo di quello chimico di post-emergenza presenta comunque interessanti potenzialità (anche per la gestione di eventuali plantule di riso crodo in varietà “convenzionali”) a fronte di costi in genere sostenibili. Autore: Flavio Barozzi, agronomo
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