Sembra – e dico sembra – che l’80% dei campioni rilevati dagli organismi certificatori nelle risaie biologiche piemontesi presentino delle irregolarità. La notizia corre di bocca in bocca, ma è priva di conferme ufficiali, quindi potete tranquillamente chiudere questa pagina e non andare oltre nella lettura… se non che nessuno smentisce. Anzi, abbiamo saputo che anche i controlli effettuati dalla Regione Piemonte fornirebbero dei riscontri preoccupanti. Poiché in passato sull’argomento si è combattuta una vera e propria guerra sul riso biologico, ci torniamo sopra con cautela. Usiamo il condizionale, perché, prima di lanciare allarmi, vogliamo vederci chiaro.
Partiamo dalle voci della risaia: sembrerebbe, dunque, che l’80% del riso coltivato con il metodo biologico, sottoposto ai controlli degli organismi certificatori, sia risultato non conforme. Abbiamo chiesto a una delle società che certifica il riso biologico in Piemonte e ci ha risposto con chiarezza: «Non posso confermare questo dato – ci dichiara Vito Russo di Bioagricert –. I risultati parziali dei controlli sul riso biologico in Piemonte sulla campagna in corso sono i seguenti: sono risultati positivi il 20% dei terreni campionati nelle risaie bio; sono risultati positivi il 66% delle acque campionate nelle risaie bio; sono risultati positivi il 41% delle piante di riso campionate nelle risaie bio. Dette positività (che individuano la presenza di residui; ndr) comportano l’apertura di indagini per accertare le cause della contaminazione, a conclusione delle quali, se la contaminazione fosse volontaria comporterebbe la sospensione della certificazione; se la contaminazione fosse accidentale e tecnicamente inevitabile e la positività non fosse riscontrata sul risone, il prodotto sarebbe certificato biologico. Le contaminazioni accidentali nel settore del riso sono frequenti a causa dell’acqua di risaia che è comune tra aziende biologiche e convenzionali. Ribadisco che si tratta di dati parziali anche se è possibile che in Piemonte, dato che si era al primo anno di attuazione delle linee guida, qualche produttore non sia riuscito ad applicarle in pieno».
Il 2017 è infatti il primo anno di vigenza delle linee guida emanate da Federbio dopo lo scandalo del riso bio, linee che sono state recepite dalla Regione e che hanno comportato controlli diversi dal passato. Bisogna ricordare che non tutto il bio certificato è soggetto a controlli della Regione, ma soltanto quello che viene prodotto da quelle aziende che richiedono i contributi del Psr. Anche in questo elenco, peraltro, i controlli avvengono a campione, a cura degli ispettorati provinciali. Quest’anno, sono stati effettuati ad esempio cinque controlli in aprile e giugno all’ingresso, all’uscita e al centro delle camere di risaia, prendendo in esame solo le aziende che hanno chiesto i contributi: secondo le nostre informazioni, anche tali controlli avrebbero segnalato la presenza di principi attivi, per quanto anche questo dato attende una conferma ufficiale. Le indiscrezioni riguardano i controlli effettuati sulle acque superficiali e, come ha spiegato Russo, in caso di controlli effettuati sulle acque di superficie scattano alcune variabili che rendono quasi impossibile determinare con esattezza la genesi dei residui reperiti. Sicuramente, non quell’esattezza necessaria per sanzionare – se, appunto, provata – una trasgressione.
«La contaminazione delle acque di risaia, attestata già negli anni scorsi dai dati di ARPA Piemonte come fenomeno ormai diffuso per tutto il sistema idrico piemontese – commenta Paolo Carnemolla, presidente di Federbio – non è di per sé indice di non conformità per la risaia bio. Ovvero qualora è dimostrabile che si tratta di una contaminazione accidentale e tecnicamente inevitabile, ovvero che l’agricoltore bio ha messo in atto tutte le misure precauzionali per evitare l’utilizzo di acque contaminate, non ha effettuato alcun impiego di prodotti non conformi e non vi sono residui rilevabili sul prodotto destinato al consumo il riso può essere certificato bio. Quindi – e in linea del tutto teorica (non abbiamo nemmeno dati ufficiali a riguardo) – se anche fosse vero che l’80% delle analisi effettuate sulle acque di risaie bio ha dato esito positivo, questo non comporterebbe comunque alcun automatismo rispetto alla non conformità delle aziende o del prodotto bio, ma solo l’ennesima evidenza che nel comprensorio risicolo piemontese c’è un rilevante problema ambientale che dovrebbe portare finalmente convincere la Regione Piemonte e tutte le Autorità di bacino e sanitarie a avviare un percorso per la creazione di un distretto biologico del riso che porti a un progressivo disinquinamento delle acque e quindi dei terreni non solo nelle aziende attualmente certificate bio». Riflessioni che aprono nuovi scenari: si deve all’assessore regionale all’agricoltura Giorgio Ferrero l’introduzione di controlli più rigorosi in questo settore (LEGGI L’ARTICOLO) e gli stessi certificatori chiedono di sfruttare la competenza dell’Ente Nazionale Risi. Insomma, il nuovo caso bio potrebbe aprire una nuova stagione di riforma. Autore: Paolo Viana
(I dati si riferiscono agli ettari che i produttori di riso biologico certificati in Piemonte destinano alla produzione di riso sia biologica che convenzionale, essendo possibile certificare anche aziende miste, che cioè producono sia riso biologico che convenzionale)