«Gli industriali risieri prestino più attenzione ai territori che producono riso, visto che in questo periodo si parla tanto di etica del capitalismo». Giovanni Daghetta, presidente di Cia Lombardia e risicoltore a Robbio, intervistato da un giornale, parla a 360 gradi di riso, a pochi giorni dall’inizio del raccolto in Lomellina e nel Pavese e nei limitrofi Vercellese e Novarese. Il dito è puntato contro l’Associazione industrie risiere italiane presieduta da Mario Francese, amministratore delegato di Curti Riso. «Quest’anno – spiega Daghetta (a sinistra, nella foto) – i risicoltori hanno preferito rimanere sulle varietà da interno come Carnaroli, Baldo e Arborio, ma nelle prossime settimane ci ritroveremo con eccedenze di mercato. Forse qualcuno ha pensato che il Carnaroli potesse essere usato nei ristoranti alla moda per cucinare il sushi, ma penso che si sbagliasse. Per questo piatto giapponese la varietà più indicata è indubbiamente il riso tondo, detto anche comune originario, come il Selenio. E proprio il riso tondo, a mio avviso, non è stato seminato a sufficienza».
Daghetta storce il naso di fronte alle importazioni di riso Indica dall’Asia effettuate dagli stessi industriali risieri italiani. «Si tratta – aggiunge – di un’operazione decisa proprio a fine campagna, poco prima del raccolto di settembre, per cercare di manipolare i prezzi e l’intero mercato. Anche sui prezzi avrei qualcosa da dire considerato che alla borsa merci di Mortara un quintale di Carnaroli è quotato non più di 41 euro e uno di Indica dai 24 ai 27 euro». All’inizio dell’anno gli industriali dell’Airi avevano chiesto ai produttori italiani di aumentare la superficie in vista dell’imminente apertura dell’immenso mercato cinese. Le indicazioni degli industriali riguardavano il Carnaroli (da 18.000 a 19mila ettari), l’Arborio (da 18.200 a 20mila) e il Roma (da 7.600 a 10mila). Tutto con l’obiettivo di esportare il risotto italiano anche su milioni di tavole cinesi. Il negoziato aveva coinvolto Airi, il ministero delle Politiche agricole, l’ambasciata italiana a Pechino e le autorità della Repubblica popolare cinese fino a definire un testo condiviso.
«Sembrerebbe paradossale – aveva chiarito Mario Francese – vendere riso in Cina, in cui la parola “riso” ha anche il significato di “pasto”. In realtà, analisi di mercato hanno confermato che, proprio in virtù dell’alto consumo di riso, i cinesi sono molto interessati a consumarlo in nuovi modi e il risotto può soddisfare questo interesse, considerando che le varietà italiane sono diverse da quelle coltivate in Cina». Le indicazioni di semina raccolte dall’Ente nazionale risi sembrerebbero dare ragione all’Airi, ma Daghetta non è del parere. «I risicoltori – dice ancora – hanno seminato in modo disordinato e temo che ne subiremo le conseguenze alle prime quotazioni del post raccolto. Sono comunque soddisfatto perché la qualità e la quantità del nostro prodotto dovrebbero essere accettabili perché abbiamo avuto una lunga estate calda con temperature elevate anche di notte».