C’era il pubblico delle grandi occasioni, ieri pomeriggio, a gremire la Borsa Merci di Mortara per il convegno promosso da Confagricoltura su “Agrofarmaci in risicoltura: impiego sostenibile e competitività delle imprese”, cui si riferisce il fotoreportage pubblicato in questa pagina. Un pubblico attento, composto e consapevole, ma nel quale trasparivano la tensione e l’incertezza di chi sente sempre più difficile svolgere il proprio lavoro stretto com’è tra vincoli normativi sempre più gravosi, scarsità di ricerca ed innovazione, e riduzione degli spazi di redditività economica dell’ attività agricola. Sentimenti di cui si è fatto interprete nel saluto di apertura il presidente della Borsa Merci e di Confagri Pavia Fulco Gallarati Scotti (foto piccola sottostante) con un intervento non privo di preoccupazione. C’era anche “Riso Italiano”, con il coordinatore Paolo Viana nel ruolo di moderatore, e la sua firma di punta Giuseppe Sarasso in qualità di relatore, a testimoniare l’ importanza del ruolo che l’informazione può svolgere – “laicamente”, senza posizioni preconcette ed inutili partigianerie- in questa fase così delicata e su un tema così cruciale.
A ribadire le novità normative in materia di uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, come definite dalla normativa comunitaria sovraordinata (la dir. UE 128/2009), recepita dal D.lvo 150/2012 e dal Piano di Azione Nazionale (PAN) contenuto nel DM 22/2/2014, sono stati Beniamino Cavagna, del Servizio Fitosanitario di Regione Lombardia, ed Elena Anselmetti della DG Ambiente di Regione Piemonte, i quali hanno illustrato le limitazioni e le regole che le rispettive Regioni hanno imposto sull’ uso di alcune sostanze attive in agricoltura ed in risicoltura in particolare. Limitazioni e regole che differiscono tra le due Regioni contermini ( e con aziende ed addirittura appezzamenti tagliati in due dai confini amministrativi) per due differenti approcci metodologici.
Quello lombardo è incentrato sul cosiddetto PAR (Piano di Azione Regionale), basato prevalentemente sulla riduzione della superficie trattabile con alcune molecole come Glifosate ed Oxadiazon (quest’ ultimo peraltro limitatamente alla tecnica di semina a file interrate e successiva irrigazione turnata), ma anche Terbutilazina (erbicida di pre e post precoce su mais) ed insetticidi (tra cui la lambda-cialotrina, unica sostanza attiva autorizzata per la lotta al punteruolo acquatico del riso), di cui Riso Italiano ha parlato diffusamente, sia durante la “gestazione” del provvedimento (http://www.risoitaliano.eu/il-pan-lombardo-e-da-buttare/ , http://www.risoitaliano.eu/pan-lombardo-confagricoltura-dice-no/ ) che al momento della approvazione, avvenuta con l’emanazione della DG 3233/2015 (http://www.risoitaliano.eu/approvato-il-pan-lombardo/ ). Nella foto al centro, l’intervento di Cavagna (al tavolo) e il moderatore Paolo Viana.
L’approccio piemontese si estrinseca invece nell’emanazione di alcuni limiti di dosaggio (ma solo per l’Oxadiazon) e in indicazioni operative riguardanti la gestione delle acque dopo il trattamento, l’alternanza delle sostanze attive utilizzate (per i trattamenti fungicidi) e l’utilizzo di ugelli asimmetrici o “a getto tagliato” per limitare i fenomeni di deriva e contaminazione dei corpi idrici. Delle norme piemontesi abbiamo ha dato conto in recenti articoli che potrete reperire ai seguenti indirizzi: http://www.risoitaliano.eu/diserbi-e-fungicidi-ecco-i-nuovi-limiti-piemontesi/ , http://www.risoitaliano.eu/lugello-giusto/ , http://www.risoitaliano.eu/i-documenti-sul-nuovo-diserbo-piemontese-esclusivo/ . Giova ricordare che tutte queste norme, siano esse lombarde o piemontesi, rappresentano altrettanti obblighi per le aziende agricole. E come tali – contrariamente a quanto si è pensato in una prima fase – comportano sanzioni in caso di conclamata inadempienza che, ai sensi dell’art. 24 c.10 del D.L.vo 150/32012, vanno da 5 mila a 20 mila euro, come sottolineato da Elena Anselmetti. A cui si potrebbero aggiungere, come rilevava a margine un consulente agronomo di Riso Italiano, le possibili e forse più gravose sanzioni per l’inadempienza verso gli obblighi di condizionalità sui pagamenti PAC, di cui le indicazioni normative emanate da Lombardia e Piemonte potrebbero essere intese come parte integrante.
Nel corso del convegno lomellino, il professor Aldo Ferrero dell’ Università di Torino, che ha coordinato il gruppo tecnico della Regione Piemonte, ha illustrato le molte criticità per la gestione delle malerbe in risaia, anche alla luce della riduzione delle sostanze attive ammesse, dei sempre maggiori vincoli per quelle consentite e delle non rosee prospettive circa la possibilità di avere a breve nuove molecole (http://www.risoitaliano.eu/ferrero-presto-registrati-nuovi-principi-attivi/ ). Criticità che non devono tuttavia indurre l’ agricoltore ad arrendersi, ma a cercare, con il supporto di una consulenza qualificata, le modalità di lotta che integrino ogni mezzo disponibile (quindi non solo il mezzo chimico) per cercare di assicurare la sostenibilità economica della coltura.
Una sostenibilità comunque non raggiungibile rinunciando all’ agrochimica, come ha dimostrato conti ed esperienze alla mano, l’intervento di Giuseppe Sarasso. Il quale non si è limitato a relazionare sulle prove di coltivazione senza diserbo chimico condotte dall’Accademia di Agricoltura di Torino (http://www.risoitaliano.eu/risicoltura-senza-chimica-i-risultati/ ), ma ha fornito anche qualche dato economico sui cui riflettere. Riprendendo uno studio di Romeo Piacco del 1949 Sarasso ha calcolato che per mantenere gli stessi costi dell’ immediato dopoguerra una ipotetica mondariso di oggi dovrebbe percepire un salario netto di 6 euro al giorno (al giorno, non all’ ora!). Questa cifra, peraltro, sarebbe superiore al salario attuale di un bracciante del sud est asiatico, che percepisce l’ equivalente di poco più di 5 dollari al giorno (ed il riso di quei Paesi può entrare in Europa con esenzione di dazio). Non vi è stato un dibattito sul riso bio, ed è stato un peccato, perché un approfondimento su questo versante avrebbe veramente completato il quadro.
Su questi presupposti, comunque, si è aperta la seconda parte del convegno, con una tavola rotonda con alcuni protagonisti del settore (un momento del confronto, nella foto a lato). Da Mario Francese, presidente degli industriali risieri dell’Associazione Italiana delle Industrie Risiere, importante stakeholder del settore perché mette in collegamento agricoltori e distribuzione, pronto a sottolineare l’importanza dell’unità della filiera nel cercare di mettere a disposizione del consumatore un prodotto quantitativamente e qualitativamente soddisfacente (impegnato a rispondere anche a domande maliziose della platea sui controlli sanitari sui residui nel riso d’importazione), a Giovanna Azimonti, dell’ IPCS, esperta del Ministero dell’ambiente nella commissione consultiva per i prodotti fitosanitari, critica verso la sistematica “rincorsa delle emergenze” che caratterizzerebbe molte situazioni verso le quali si dovrebbe essere più previdenti. Sullo sfondo, gli usi eccezionali, che dovranno essere autorizzati anche quest’anno per parecchi principi attivi, se si vorrà rendere possibile la risicoltura. Un tavolo tecnico a livello nazionale non guasterebbe, ha osservato Azimonti e il suo non era certo un ballon d’essai, tant’è vero che la proposta è stata seriamente considerata e analizzata dal presidente di Confagricoltura Mario Guidi nelle conclusioni. Il tavolo tecnico sui fitofarmaci è dunque un’idea su cui si lavorerà dai prossimi giorni.
Sempre nel corso della conferenza stampa, il presidente dell’ Ente Nazionale Risi Paolo Carrà ha rivendicato il ruolo dell’assistenza tecnica pubblica e l’attenzione dell’Ente verso i problemi attuali e potenziali per la coltura, dai metalli pesanti fino al rischio di contaminazione da micotossine, che ha letteralmente devastato il nostro comparto maidicolo ma che adesso potrebbe rappresentare un pericolo per la risicoltura. Quindi ha insistito sui «fenomeni di resistenza agli erbicidi che provocano gravi danni alla coltivazione risicola, in termini di perdita di produttività, ma anche di aumento di impiego di diserbanti per compensare le perdite di efficacia e di incremento dei costi produttivi». Il commissario del Crea Michele Pisante ha invocato, dal canto suo, maggiori risorse ed un mentalità più aperta e libera in fatto di ricerca ed innovazione. Sottolineando la necessità di puntare ad una «intensificazione sostenibile» dell’agricoltura, piuttosto che a teorie di “decrescita” estremamente pericolose.
Una prospettiva concreta di innovazione è giunta dall’annuncio di Alberto Ancora, responsabile della divisione Crop Protection Sud Europa di BASF, secondo cui già dal 2018 potrebbe essere disponibile la nuova tecnologia Provisia, basata su varietà tolleranti ad alcune tipologie di erbicidi per ampliare la lotta al riso crodo: in questo caso si tratterebbe di erbicidi Ac-Casi inibitori, che nei programmi della ditta produttrice dovrebbero affiancare ed integrare la tecnologia Clearfield già in uso, basata su un erbicida ALS inibitore. Una risposta al dilemma che molte aziende dell’agrochimica si starebbero ponendo, chiedendosi se investire in costose ricerche per nuove molecole, se concentrarsi sulla “difesa” di quelle esistenti nei processi di revisione a livello comunitario, o se abbandonare un mercato ritenuto ormai “povero” come quello europeo, posponendolo ai “ricchi” mercati del Sud America e dell’ Asia.
A chiudere i lavori stato uno schietto intervento del presidente nazionale di Confagricoltura Mario Guidi, risicoltore a Ferrara (nella foto sopra, il suo intervento). «La sostenibilità è un fattore di successo per l’agricoltura italiana – ha detto -. Siamo i primi a volerla, a sostenerla, a ricercarla anche attraverso l’impegno a ridurre l’uso di agrofarmaci e l’impatto dell’attività di coltivazione su acque e terreni. Sulla sostenibilità ci vuole una grande alleanza della filiera e della politica, non può essere demandata solo alle aziende agricole e va ribadito che ha un costo». In particolare la questione fitosanitaria – ha osservato il presidente di Confagricoltura – è un argomento che può essere affrontato solo attraverso un maggior coordinamento tra i ministeri dell’agricoltura, dell’Ambiente e della Salute; il coinvolgimento degli stakeholder in modo regolare; una maggiore uniformità a livello regionale nell’attuazione delle norme che non possono essere applicate in modo disomogeneo sul territorio spesso penalizzando le imprese. «Bisogna premiare i comportamenti virtuosi che tutelano l’agroecosistema ma, prima di tutto, occorre creare le condizioni per assicurare un futuro alle imprese – ha aggiunto Guidi -. Coniugare sostenibilità e competitività deve divenire l’occasione di rilancio dell’eccellenza italiana e non l’ulteriore causa di perdita di competitività nei confronti dei prodotti da paesi extracomunitari. In questo contesto non servono i diktat normativi, occorrono politiche e incentivi che aiutino i cambiamenti». Su questo punto, l’agricoltore emiliano ha compiuto un’analisi cruda della situazione italiana, ha rivelato di lavorare proficuamente con l’Airi (dal canto suo, Francese aveva appena annunciato che la minoranza di blocco italiana è riuscita a convincere la Commissione europea a non vietare il triciclazolo, che proseguirà il proprio iter di ri-registrazione) e si è detto disposto a «mettere in discussione tutto, compreso Confagricoltura ed Ente Risi» purché sia garantita la sopravvivenza delle imprese e degli imprenditori agricoli. Parole, queste ultime, che segnalano una nuova fase di instabilità nei rapporti non sempre idilliaci tra i vertici di Confagricoltura e il presidente dell’Ente Risi, che proviene da quest’organizzazione. (02.02.2016)