Una delle questioni più dibattute nella valutazione del rischio chimico riguarda il fatto se l’esposizione a sostanze chimiche come i pesticidi possa causare malattie nell’uomo. IL tema è caldo, specie ora che si dibatte se mantenere o eliminare alcuni dei pesticidi più usati anche per il settore del riso. Ad oggi gli scienziati, per valutarne la sicurezza, si basano su prove sperimentali di tossicità, ad esempio studi su animali o su cellule. Un nuovo approccio proposto dall’Efsa aiuterà a far progredire la comprensione usando al meglio gli studi epidemiologici sulla salute umana.
Gli studi epidemiologici sull’uomo suggeriscono un’associazione tra esposizione ad alcune sostanze chimiche e malattie. Tuttavia, poiché un’associazione non prova necessariamente un nesso causa-effetto, non si possono trarre conclusioni definitive da tali studi. Ciò significa che questi studi sono in molti casi di utilità limitata per determinare se una sostanza chimica possa in definitiva rappresentare un fattore di rischio per una malattia. Nel 2013 l’Efsa ha pubblicato i risultati di una revisione della letteratura su studi epidemiologici che collegano l’esposizione ai pesticidi a effetti sulla salute. Da allora gli esperti di pesticidi dell’Autorità hanno continuato a chiedersi come i risultati di questi studi epidemiologici possano essere integrati nelle valutazioni sui rischi da pesticidi. Benché tale lavoro interessi tutte le sostanze chimiche, risulta di particolare importanza per la valutazione delle richieste di approvazione di pesticidi da parte dell’Efsa, in quanto, in base ai regolamenti Ue, l’Efsa è tenuta a valutare le risultanze epidemiologiche.
Nell’ambito di tale lavoro, il gruppo di esperti scientifici sui prodotti fitosanitari e i loro residui ha sperimentato un metodo che potrebbe consentire ai valutatori del rischio di stabilire un legame biologico di causa-effetto tra esposizione a sostanze chimiche come i pesticidi e malattie. Susanne Hougaard Bennekou, presidente del gruppo di lavoro che ha sviluppato il metodo, e Andrea Terron, addetto scientifico dell’Efsa specializzato in pesticidi, illustrano l’importanza di questo lavoro: «L’intento dei nostri valutatori dei rischi da pesticidi – spiega Susanne Hougaard Bennekou – è quello di usare al meglio le informazioni contenute negli studi epidemiologici. A tal fine si deve trovare un modo per confermare – o non confermare – le associazioni suggerite dagli studi, compito particolarmente arduo quando i dati afferiscano a malattie umane complesse. A volte i fattori coinvolti sono tanti che non si riesce a confermare le associazioni tra sostanza chimica e malattia suggerite dagli studi epidemiologici». E aggiunge: «Nel nostro parere scientifico abbiamo applicato una metodologia che potrebbe decidere se vi sia un legame plausibile tra la causa – una sostanza chimica che viene a contatto con un organismo influendo a livello cellulare – e una successiva catena di eventi che portano all’effetto, cioè alla malattia. In altre parole, stabilire se una specifica sequenza, o successione di eventi, rappresenti un pericolo per la salute umana; e, di conseguenza, individuare quali sostanze chimiche vadano considerate potenziali fattori di rischio per quella malattia. Questo approccio concettuale è noto come “via degli esiti avversi” (adverse outcome pathway o, in breve, AOP). È stato sviluppato dalla comunità scientifica e attuato tramite l’Ocse per migliorare la comprensione di come le sostanze chimiche inducano effetti negativi, ma questa è la prima volta che è stato adattato appositamente per migliorare la fruizione dei dati epidemiologici nella valutazione del rischio».