Il coronavirus ha fatto una vittima anche in risaia. L’emergenza, che ha imposto alla Cina una serie di limitazioni nei viaggi aerei, ha fatto saltare la missione della Ministra delle Politiche Agricole Teresa Bellanova che il 3 febbraio avrebbe dovuto volare a Pechino per firmare un protocollo destinato ad aprire alle esportazioni di riso italiano da risotto in quel Paese. Sono anni che l’Airi lavora a quel dossier, per cui la rinuncia, per quanto obbligata, lascia molto amaro in bocca. Dal 2011, infatti, gli industriali risieri testano l’interesse della Gdo cinese a commercializzare il riso italiano da risotto, un prodotto che attualmente non si può esportare in Cina, ma che potrebbe avere un importante mercato in quel Paese. Per questo, il governo aveva acconsentito ad appoggiare le richieste degli industriali e la Bellanova aveva promesso personalmente al presidente dell’Airi Mario Francese, a fine novembre, che avrebbe organizzato una missione per poter firmare con le Autorità doganali cinesi il protocollo che prevede le condizioni per poter esportare. Missione che è stata effettivamente programmata per il 3 febbraio e che la Ministra ha cercato fino all’ultimo di confermare, dovendosi arrendere di fronte all’impossibilità di organizzare la missione in condizioni di sicurezza. La Cina, primo produttore di riso al mondo (140 milioni di tonnellate contro un milione dell’Italia) non esporta in Europa e tanto meno in Italia. Invece, l’Italia, dove si consuma quasi esclusivamente riso italiano, vende circa il 60% della propria produzione al di fuori dei confini nazionali e i ricchi consumatori di quel Paese, una frazione del suo immenso mercato, ma una frazione imponente, sono potenziali consumatori di risotti. Ecco perché i nostri industriali continueranno a lavorare su quel dossier.
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