Il confronto tra costi di produzione, tecniche produttive, punti di forza e di debolezza delle diverse risicolture del Giappone, della California e dell’ Italia è stato al centro di un incontro organizzato presso la Camera di Commercio di Vercelli dall’ agronomo e studioso Giuseppe Sarasso, accademico dei Georgofili, con l’economista agrario nipponico Kazuya Sasahara, della National Agricultural and Food Research Organization dell’ Università giapponese del Tohoku. L’ incontro, cui hanno partecipato nei giorni scorsi risicoltori e studiosi italiani provenienti dal Vercellese, dal Novarese e dalla Lomellina, ha consentito un serrato ed interessante raffronto tra aree, tecniche, politiche agrarie e condizioni produttive diverse. Con qualche conferma e più di una sorpresa.
A partire dai punti di forza e di debolezza delle tre differenti risicolture. I giapponesi considerano loro punto di forza soprattutto la politica di limitazione delle importazioni, che essi temono possa essere incrinata dagli accordi TTP (ma al momento dell’ incontro, avvenuto nel pomeriggio dell’ 8 novembre, le elezioni USA erano ancora in corso e non se ne prevedeva con certezza il risultato, che potrebbe determinare un ripensamento della posizione statunitense), e che consente prezzi di vendita molto elevati (nell’ordine di 2000 euro per tonnellata base risone). Per contro i giapponesi considerano fattori di debolezza della propria risicoltura (che si estende su 1,5 milioni di ettari) i costi elevati per l’acquisizione dei mezzi tecnici e per la meccanizzazione, le ridottissime dimensioni medie aziendali, gli elevati costi per il trapianto che in Giappone è la tecnica “standard”, anche a causa della scarsa attitudine di molte varietà alla semina diretta e della modesta variabilità genetica che consente limitati progressi nel campo del miglioramento varietale, in particolare per quanto riguarda la riduzione della taglia e l’incremento della resistenza all’allettamento delle piante.
Per la risicoltura californiana (200 mila ha circa, quindi poco meno della risicoltura italiana in termini di superficie) i punti di forza riguardano la maglia aziendale estesa, i ridotti costi energetici, ma soprattutto gli alti prezzi della materia prima, oscillanti tra 450 e 950 dollari per tonnellata base risone (ovvero tra 400 e 860 euro al cambio attuale). Il principale fattore di debolezza viene individuato nella limitazione e nel costo delle risorse idriche.
Per l’Italia, Sasahara individua gli elementi di forza nella buona disponibilità idrica e nell’efficienza della rete di distribuzione, nelle dimensioni aziendali relativamente buone, nei costi relativamente contenuti per alcuni mezzi tecnici, nella buona disponibilità di varietà diverse (ma la variabilità genetica delle nostre varietà “tradizionali” è comunque modesta) e nell’ introduzione (peraltro avvenuta in anni relativamente recenti) di varietà moderne a taglia ridotta e resistenti all’allettamento. I fattori di debolezza vengono individuati nei costi energetici piuttosto elevati, ma soprattutto nella costante competizione con riso di importazione, che determina i prezzi della materia prima più bassi tra quelli delle tre risicolture messe a confronto. Su questo punto il valore indicato da Sasahara che facendo riferimento a dati della scorsa campagna commerciale ipotizzava un prezzo di vendita di 400 euro per tonnellata base risone è stato “rivisto al ribasso” dagli operatori italiani presenti in funzione del non esaltante avvio della campagna commerciale in corso.
Analizzati altri aspetti di raffronto tra le tre risicolture (in quella nipponica, ad esempio, la ridottissima dimensione degli appezzamenti comporta un grande frazionamento aziendale ed elevati costi di manodopera anche per operazioni relativamente routinarie come il controllo dell’acqua), è stato interessante il confronto tra i costi di produzione e le rispettive produttività. Dagli studi di Sasahara emerge un poco sorprendentemente che i costi italiani sono solo di poco superiori a quelli californiani: in termini assoluti il differenziale è inferiore ai 100 euro per ettaro, mentre in termini di costo per unità prodotta il differenziale si fa più consistente anche a causa dei minori rendimenti ettariali del riso italiano rispetto a quello californiano. La sostanziale convergenza tra i costi di produzione italiani e quelli californiani se indica da un lato la capacità della nostra risicoltura di innovare riducendo i costi ed incrementando la propria competitività, dall’ altro dovrebbe essere fonte di riflessione di tutta la filiera sulla possibilità e necessità di conquistare o riconquistare sbocchi di mercato, ad esempio in quegli areali in cui la “tradizionale” varietà americana Calrose potrebbe essere efficacemente concorrenziata da riso italiano con caratteristiche qualitative simili. Del tutto diversi e non paragonabili i costi giapponesi, influenzati dall’elevata incidenza delle spese per manodopera e meccanizzazione.
Interessantissimo è risultato invece il confronto tra i costi della risicoltura “convenzionale” giapponese e di quella “bio” (che in Giappone interessa peraltro superfici assai modeste) . In questo ambito la risicoltura biologica giapponese, che probabilmente è davvero “bio”, fa registrare rendimenti di 4,5 tonnellate per ettaro, certo più verosimili di alcuni “miracolosi” rendimenti del “bio” italiano. Ma evidenzia costi elevatissimi (oltre 7.500 euro per ettaro) per la manodopera addetta al controllo manuale delle infestanti, pur se con un costo orario del lavoro che dalla discussione è risultato inferiore a quello italiano. Ciò dovrebbe costituire un interessante punto di riflessione sulla “sostenibilità” economica della risicoltura autenticamente biologica, anche in considerazione del fatto che in Giappone si pratica il trapianto e si attuano lavorazioni meccaniche per ridurre l’ incidenza delle infestanti ed i relativi costi di monda manuale (in alcune realtà si starebbe sperimentando l’ uso di anatre per contenere le infestanti in germinazione, anche se sorgono poi alcuni problemi relativi alla macellazione ed allo smaltimento delle anatre che alla fine della stagione non sono più necessarie). Da notare che per i risicoltori giapponesi il trapianto richiede la formazione di semenzai nell’ordine di circa 100 metri quadri per ettaro coltivato: superfici che difficilmente si possono trovare nelle piccolissime aziende nipponiche, per cui il materiale di propagazione, come pure gli altri mezzi tecnici, viene fornito da una agenzia parastatale con costi alquanto elevati. (Nella foto grande, la monda manuale in una risaia del Novarese) Di seguito due interessanti tabelle: i costi e le ore di lavoro del riso biologico giapponese.