«Bisogna raccontarla bene per far capire chi vuol veramente tutelare i veri agricoltori italiani…» con tono sornione, arricchito dalla cadenza emiliano, Mauro Tonello respinge al mittente la richiesta di sostituire nel protocollo di tracciabilità del riso “classico” l’adozione di seme certificato con la prova del Dna. Il mittente in questione è Confagricoltura, che intende rimettere in discussione l’accordo raggiunto dagli altri sindacati e dall’Airi (LEGGI L’ARTICOLO).
Tonello, che alla riunione ha partecipato in rappresentanza della Coldiretti, ricostruisce così la vicenda: «Come sempre, si fa una riunione tecnica, dove legittimamente ognuno fa le sue proposte, ci si confronta e poi tutti – o una maggioranza – si prende una decisione, dopo aver valutato tutti gli aspetti possibili ed immaginabili. Capita anche che uno faccia una proposta che non offre garanzie e che questa proposta venga rifiutata…»
Il vicepresidente nazionale della bonomiana, che è un risicoltore, insiste: «poi ognuno può valutare se rendere noto o meno il confronto avuto al tavolo, ma se lo fa lo dovrebbe fare il più correttamente possibile, o stare zitto…» Al centro della polemica sollevata da Confagricoltura all’indomani dell’accordo c’è la bozza di protocollo sulla tracciabilità del riso classico che, sottolinea Tonello, «quando ci siamo seduti a quel tavolo era già condivisa da tutti; nulla vieta proposte all’ultimo minuto, che però possono anche raccogliere pareri dell’ultimo secondo», tuttavia, per Coldiretti, dice, «in dodici anni di discussioni sul riso classico il nostro obiettivo è sempre stato quello di dare una certezza e un valore all’intera filiera del riso partendo appunto dal seme fino al consumatore» e da ciò discende la scelta di vincolare la produzione del “classico” al seme certificato, «che serve a mantenere pura una varietà, curandone tutti gli aspetti qualitativi, come nessun risicoltore da solo può fare». Confagricoltura sostiene che l’agricoltore può farlo e chiede che chiunque possa certificare la purezza varietale attraverso un esame del Dna, riducendo carte e costi.
Per Tonello, il sistema individuato per la tracciabilità non produce aggravi burocratici – «facciamo tutti la domanda unica, basta una casellina in più…» – e soprattutto non è più costoso, anzi: «la prova del DNA costa un bel po’ di soldi al produttore, anche perché comporta in tal caso una prova per ogni carico di risone, senza contare che l’agricoltore in tal caso è molto più esposto al rischio di contestazioni». Provocatoriamente, Tonello chiede ai colleghi risicoltori: «siamo tutti così bravi a pulire la mietitrebbia da escludere le tracce delle varietà che abbiamo tagliato prima? E le coclee dell’essicatoio? Se poi lavoro con l’estero e il mio prodotto viaggia, quali garanzie ho?» Insomma, per Tonello quella sollevata da Confagricoltura, conclude, «è una polemica pretestuosa. Questa vicenda del classico bisogna raccontarla bene per far capire chi vuol veramente tutelare i veri agricoltori italiani…»