Quale risone cerca l’industria risiera? Esiste una super-qualità “italiana”? L’industria potrebbe delocalizzare la produzione? Interrogativi quotidiani, che abbiamo posto a un tecnico del settore industriale risiero, Claudio Carrière (foto piccola), con una lunga esperienza in Italia ed all’estero in posizioni di operation manager e direttore di stabilimento. Carrière ha gestito start- up e riorganizzato unità produttive anche nel campo dello sviluppo e industrializzazione di nuovi prodotti e conosce approfonditamente le caratteristiche tecniche della trasformazione di impianti complessi per la trasformazione del riso, di prodotti precotti, disidratati, secchi, umidi, sterili e piatti “ready to eat” a base di riso. Ecco la sua opinione.
Si parla tanto di qualità, ma il risone italiano ha realmente caratteristiche diverse da quello d’importazione che lo rendono preferibile per l’industria?
L’industria di trasformazione del risone predilige alcune varietà e sopratutto alcune sue caratteristiche se destinato a diventare parboiled, ma anche per questo particolare trattamento esistono varietà di provenienza estera assolutamente valide ed apprezzabili. E’ normale che si cerchi di preservare la nazionalità di produzione e trasformazione, tuttavia non esiste a mio avviso una concreta e misurabile o diversa ragione.
Quali sono le caratteristiche che deve avere il granello e cosa comportano nel processo industriale?
Se la destinazione della granella è di diventare riso parboiled, sono preferibili varietà cristalline traslucide, non gessate, che non presentano il cuore bianco perlaceo tipico ad esempio di quelle varietà tradizionalmente impiegate in Italia per la preparazione del risotto, come Carnaroli, Arborio Vialone. Per la trasformazione in riso parboiled, ma sopratutto per la lavorazione a riso bianco, l’interesse primario dell’industria è la cosiddetta “resa” finale di lavorazione: percentuale finale di chicchi edibili e commerciabili ricavati dal risone.
Cosa percepisce il consumatore di queste differenze qualitative?
Sono da sempre convinto che il consumatore finale, per la scelta del prodotto, operi una scelta finalizzata a soddisfare il proprio personale gusto o tradizione alimentare del paese d’origine. Oggi, più di qualche anno fa, tuttavia, credo che la scelta sia particolarmente influenzata anche dal costo sullo scaffale.
Secondo Lei quali tecnologie hanno rivoluzionato la produzione risiera in questi ultimi dieci anni?
L’unica o principale innovazione tecnologica in continua evoluzione, è nell’elettronica applicata alle macchine impiegate per la selezione ottica delle difettosità delle granelle. L’industria molitoria del riso e la tecnologia industriale di raffinazione hanno subito ben poche innovazioni, e non solo negli ultimi anni. Prova ne è il fatto che tutte le grandi aziende più affermate del mercato mondiale utilizzano le stesse macchine da sempre. L’adeguamento a requisiti igienico-sanitari ha comportato nei decenni il passaggio dal legno al ferro ed ora all’acciaio inossidabile ma la tecnologia di processo è rimasta invariata. Altra cosa è la produzione di tutta una nuova serie di nuovi prodotti a base di riso, pronti o non per il consumatore finale, che ha visto emergere industriali di riso innovativi e attivi.
Si può dire che la tecnologia di base sia ormai standardizzata?
Direi di sì, anche se ogni riseria conserva le proprie tecniche e macchine di trasformazione nella convinzione di custodire segretezza e accorgimenti unici, che in realtà sono noti a tutti gli operatori del settore. Così come è alquanto standardizzata l’esperienza: tutti i pilatori, sanno (ma nessuno lo rispetta), che per preservare l’integrità delle granelle durante la lavorazione meccanica, (la resa) è bene fermare la riseria nelle giornate di vento… In verità la ricercata “buona resa” di produzione è principalmente dipendente dalle caratteristiche del risone acquistato.
Quali obiettivi si darà il processo industriale risiero nei prossimi anni?
Non sono in grado di prevedere l’evoluzione di un mercato agricolo ed industriale, che oggi è così duramente colpito o messo a prova dalle importazioni di riso dai paesi emergenti. Credo però che ogni industriale risiero stia valutando o abbia valutato concretamente la possibilità di trasferire la propria attività in paesi terzi dove la mano d’opera è conveniente, la burocrazia minore e il costo di materie prime vantaggioso, fattori che facilitano l’investimento d’impresa. Sento anche che molti agricoltori si stanno orientando verso culture diverse o apparentemente più redditizie, ma trascurano il fatto che qualsiasi prodotto provenente da paesi terzi gode della stessa competitività del riso d’importazione… Nessuno vieta ad un lungimirante agricoltore/industriale di produrre/trasformare Carnaroli in Cambogia o in Egitto, salvo l’impiego finale per nicchie di mercato. Come l’Italia. (30.04.14)