«E se la smettessimo di farci del male e dessimo il via a un modo nuovo di tutelare il nostro cibo?» Provocatorio ma non troppo, Carlin Petrini, fondatore di Slow Food, entra di prepotenza sulla questione della legge del mercato interno del riso con un lungo articolo pubblicato da La Repubblica. Petrini ricostruisce la “filiera” dal risone al riso a beneficio di chi non la conosce e poi affronta il nodo: «il risone dipende dalla varietà seminata. Chi coltiva Carnaroli, produce risone Carnaroli. Per contro, il riso Carnaroli si può ricavare, legalmente, raffinando anche risone di varietà Carnise o Carnise precoce, o Karnak o Poseidone. L’escamotage si chiama omonimia: il riso venduto, per legge può essere chiamato con il nome della varietà da cui deriva il risone, oppure con uno dei nomi delle varietà che appartengono alla stessa categoria agricola. E nella categoria del Carnaroli ci sono appunto gli altri nomi di varietà (e quindi di risone). Quali siano gli abbinamenti possibili, lo stabilisce ogni anno un decreto del ministero dell’agricoltura. Il risultato finale è che la legge permette, per esempio, a chi produce riso partendo dal risone Karnak di chiamarlo, appunto, Carnaroli. Il punto è che il consumatore non sa che sta comprando una varietà di riso (Karnak) diversa da quella indicata sulla confezione (Carnaroli). Tutto questo è legale, certo. Ma è anche giusto?» Pesante, perché lo dice Petrini, il più influente guru agroalimentare. Il quale nell’articolo ripropone i contenuti di Contro Natura, il libro di Dario Bressanini e Beatrice Mautino che vi abbiamo presentato nelle scorse settimane. E ci va giù senza esitazione, smontando il nucleo centrale della riforma che il governo si appresta a varare (http://www.risoitaliano.eu/accordo-sulla-riforma-del-mercato-interno/): «Il Carnaroli propriamente detto si trova a competere con riso che si chiama nello stesso modo, ma che invece deriva dalla raffinazione di varietà diverse, per certi versi più facili da coltivare». La riforma – viene precisato – non è imposta né dall’Europa né da leggi nazionali. Petrini lo precisa e la sua è una critica a 360° che, se discussa nel merito, imporrebbe uno stop al processo di riforma della legge sulle denominazioni del riso in commercio in Italia. Il punto è proprio questo. Quanto saranno prese in considerazione le parole di Petrini? Ragione vorrebbe che un guru fosse tale sia quando il Ministro Martina se lo porta appresso ai vertici internazionali in virtù della sua riconosciuta esperienza e influenza, sia quando critica la riforma della legge del mercato interno… Ci rifletta bene il Ministro. Da quel che dirà o non dirà si capirà non solo sestima Petrini, ma anche se realmente il governo sia titolare di questa riforma – cioè se ne assuma la paternità – oppure se si limiti a fare il passacarte; un’eventualità che naturalmente noi non crediamo… Ma andiamo avanti con l’articolo, perché per l’appunto il Petrini ne ha per tutti: «vorrei vedere le associazioni produttive prendere una netta posizione rispetto a questa prassi, in difesa di quei loro associati che coltivano davvero le varietà di cui, grazie alla “sinonimia legale”, si avvantaggiano i coltivatori delle varietà ignote al pubblico. Esse non hanno nulla che non vada: semplicemente non sono quello che dicono di essere. Pensateci: chi non insorgerebbe se al ristorante un cefalo fosse legalmente chiamato sugarello o la vacca limousine venduta per chianina?» Queste non sono parole ma pietre scagliate contro le vetrine dei sindacati agricoli che hanno approvato la bozza di riforma. Petrini li richiama alla coerenza: «È ora di smettere con le scorciatoie e dare il vero, giusto peso al diritto di scelta. Per questo non mi piace l’attuale progetto di legge sul riso che, se possibile, peggiorerà ancora le cose. Se oggi infatti, un produttore di riso serio e attento può decidere di chiamare il proprio prodotto Karnak o Poseidone, quando derivi da queste varietà di risone, la nuova legge in discussione vorrebbe addirittura imporre la sinonimia: se il risone viene dal gruppo sui appartiene anche il Carnaroli, non potrà che chiamarsi Carnaroli». Infine, la bordata: «La foglia di fico di tanto scempio consisterebbe nel fatto che chiameremmo il Carnaroli vero —cioè quello dal campo al pacchetto — Carnaroli classico. Uno schema già visto, che non ci piace: per distinguere il Prosecco di pianura da quello originario, delle colline tra Asolo e Valdobbiadene — Conegliano, si usa l’aggettivo “superiore”… È ora di dire basta. Non si chiama oro la patacca e oro classico il metallo prezioso». A questo punto vediamo se in via XX Settembre qualcuno avrà il coraggio di affrontare le questioni con una risposta pubblica o se, come crediamo, si eviterà di entrare nel merito per non disturbare il manovratore. (14.06.2015)
DE MINIMIS: IL NUOVO REGOLAMENTO
La Commissione europea pubblica il 13 dicembre 2024, il nuovo regolamento che alza la soglia “de minimis”, a 50.000euro/agricoltore/triennio.