Lui giura che non è una provocazione, ma quando Gianni Della Bernardina propone di affidare agli operatori agromeccanici la certificazione del prodotto il mondo del bio ha un sussulto. Una rivoluzione. Del resto, la domanda è imponente e per stare al passo bisogna rinforzare la filiera. Della Bernardina, presidente di Cai, spiega allora che «in attesa che l’Unione europea approvi la riforma del biologico e che il percorso del Testo unico del bio a livello nazionale possa concludere il proprio iter legislativo, la Confederazione Agromeccanici e Agricoltori Italiani ribadisce il proprio impegno a sostenere la crescita tecnica e dimensionale di un settore ormai uscito da una stretta dimensione di nicchia e proiettato verso maggiori livelli di responsabilità, nel quadro più generale di sviluppo di un’agricoltura globale altamente sostenibile».
«L’impresa agromeccanica svolge un ruolo insostituibile nell’ambito dell’agricoltura biologica – dichiara a sua volta il vicepresidente, Sandro Cappellini – sia in termini di operazioni in campo che nel sistema dei controlli, dove l’attività di controllo degli operatori agromeccanici può offrire un servizio supplementare di certificazione del prodotto».
Nel cosiddetto “organic”, al centro delle attenzioni del mercato, l’alternativa alla difesa chimica è costituita dalle lavorazioni: dall’aratura per ridurre la carica infestante di semi e patogeni, alle sarchiature; dalle lavorazioni del terreno per l’eliminazione delle malerbe in pre-semina, alle erpicature con strigliatore, che richiedono – sottolinea però Cai – il rispetto puntuale dei tempi di intervento, in modo da operare un diserbo meccanico selettivo. Anche le coperture vegetali seminate (cover crops) possono essere un’alternativa, ma manca ancora una sperimentazione che consenta di contenerne i costi. Un aspetto sul quale i contoterzisti sono disponibili a condividere un percorso sperimentale mirato, come fanno sapere. Ci si lavora, insomma, ma si punta a ottenere l’accesso ai contributi: «Come al solito le nostre aziende dovranno investire al buio – critica Cai – perché l’attuale sistema di sostegno prevede che i contributi per il biologico vadano all’agricoltore, che è un soggetto ben diverso da quello che materialmente acquista le macchine. I contratti di filiera possono essere utili, ma bisogna arrivare a un rovesciamento positivo della prospettiva, sostenendo la catena agroalimentare dall’inizio, cioè dalle lavorazioni e i relativi investimenti, e non dalla fine della parte produttiva, cioè dalla granella in tramoggia, come è stato inteso fino ad ora».
Un affondo cui Federbio, che riunisce i certificatori bio, risponde così: «Il ruolo degli agromeccanici è sempre più importante anche per il biologico, considerato che è un metodo agricolo che vede nelle lavorazioni meccaniche e nelle tecniche e tecnologie dell’agricoltura di precisione innovative e ben fatte/applicate uno dei pilastri per il proprio successo. Determinate macchine, tecnologie e professionalità non sempre sono accessibili ai singoli agricoltori bio e per questo la presenza di terzisti opportunamente formati, organizzati e dotati è fondamentale per progetti di conversione al biologico a dimensione territoriale vasta, come sarebbe auspicabile nel caso del distretto del riso. Il presidio delle attività svolte in campo dagli agromeccanici è anche uno dei punti critici del sistema di certificazione del bio, quindi per FederBio è opportuno inserire gli agromeccanici anche nella filiera del controllo e poter condividere con la loro organizzazione un programma di formazione, un sistema di certificazione delle competenze e capacità operative, iniziative dimostrative e programmi di innovazione dedicati al settore bio».
AVVISO: hai risone biologico in magazzino? Sei in grado di difenderl0? Leggi come…