L’Europa vuole abbassare i limiti di cadmio negli alimenti, riso compreso. Secondo le informazioni raccolte dalla nostra redazione, la Commissione ha avanzato agli stakeholder (compreso il governo italiano) una proposta che parla di 0,10 mg/kg per il riso. Oggi è il doppio. Questione di decimali, direte, eppure ce n’è per squilibrare il mercato. La proposta (leggi il Cadmium stakeholder consultation) esce dalla valutazione di un “gruppo di lavoro su contaminanti industriali ed ambientali”, modifica il RegUE 488_2014 e per quanto riguarda la nostra coltura abolisce il codice dedicato al prodotto riso che verrebbe assimilato agli altri cereali con limite a 0,10 ppm (mg/kg). In pratica il limite dei cerali rimarrebbe invariato, ma la “dimenticanza” di un codice specifico per riso comporterebbe per questo prodotto alimentare un dimezzamento del precedente limite a 0,20 ppm. Bisognerà quindi vedere se in sede di “conversione” il codice specifico per riso (e frumento) non potrà essere reintrodotto, magari con limiti superiori allo 0,10 ppm. L’Ente Nazionale Risi sta lavorando a un dossier per disinnescare la bomba. Ovviamente, oltre questo passo “tecnico” servirà una mobilitazione politica per fermare il “taglio”. La consultazione degli stakeholder scade il 15 gennaio.
La vicenda potrebbe confermare anche la valenza “prospettica” di uno studio su potenziali contaminazioni del riso da metalli pesanti e micotossine (tema quest’ultimo ancora poco sentito ma probabilmente sempre più rilevante in futuro specie per i prodotti veramente “bio”), condotto nell’ambito del progetto “Baby-Rice”, che è stato finanziato con la misura 16.2.01 del PSR Lombardia e realizzato da ENR, Università Cattolica di Piacenza e Università di Torino, cui partecipano risicoltori come Giovanni Daghetta e Flavio Barozzi, le cui indicazioni potrebbero essere utili, addirittura oltre l’ambito “baby food”, per diventare linee guida per tutta la filiera.