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BOATTI: LA RISICOLTURA, QUESTA SCONOSCIUTA…

da | 15 Lug 2014 | NEWS

Prima l’analisi: «La produzione risicola nella composita realtà pavese stenta a trovare la giusta percezione». Poi il consiglio: «Forse il settore, per essere percepito nella sua incisiva rilevanza e inserirsi, dialogando alla pari con le punte di eccellenza del sistema produttivo, economico e culturale pavese, dovrebbe, in tutte le occasioni possibili, “dare i numeri». Giorgio Boatti, che è di Zinasco, autore di un libro dal titolo «Un Paese ben coltivato», analizza così sulla prima pagina della Provincia Pavese di domenica i problemi della filiera risicola che in questi giorni alza la voce, blocca le Borse risi e cerca di far capire ai governanti che l’alternativa al blocco delle importazioni a dazio zero dai Pma è la bancarotta del settore. «Le statistiche, almeno quelle del 2012 fornite dall’Istat, ci dicono che in provincia – argomenta Boatti – sono stati dedicati al riso 82.050 ettari e che, nello stesso anno, la produzione complessiva, sommando le diverse varietà messe in campo, ammonta a poco meno di 5 milioni e mezzo di quintali. L’anno successivo, secondo altre fonti, la superficie a riso è diminuita localmente di alcune migliaia di ettari ma rimane il fatto che, rispetto ai 216.000 ettari che fanno dell’Italia il primo produttore di riso in Europa, Pavia continua a essere la “capitale del riso”. E, infatti, sono oltre 1500 le aziende risicole operanti in provincia. Valutare cosa questo significhi in termini economici non è impresa facile poiché sono diverse le varietà di riso coltivate (dal Carnaroli al Vialone, dal Baldo all’Arborio sino alle diverse specie di Indica che più pesantemente sono insidiate dalla produzione orientale) e le oscillazioni dei prezzi imposti dal mercato nel corso dei mesi sono quanto mai consistenti. In alcuni casi i 90 euro al quintale pagati a febbraio per alcuni tipi di riso qualche mese dopo, quando parte dei produttori hanno dovuto svuotare i magazzini e fare cassa per procedere alle nuove semine, si sono dimezzati. Anzi, sovente si sono ridotti ancora di più. Detto questo, e facendo quattro conti “spannometrici”, è ipotizzabile che la produzione agricola risicola della provincia, pur con la recente riduzione delle compensazioni derivanti dalla PAC (politica agraria comunitaria), macini una cifra ingente: è del tutto errato ipotizzare che si aggiri tra i 250 e i 300 milioni di euro all’anno? Paragonata alle somme vertiginose che sono girate sul mercato finanziario, immobiliare o industriale negli anni ruggenti la cifra non è da capogiro ma, pur sempre, rappresenta un ammontare che dialoga quasi alla pari – per rimanere nell’ambito locale – con le grandezze del “fatturato” dell’Università degli Studi (350 milioni) o del Policlinico San Matteo». Ma Boatti sottolinea anche la fragilità del gigante: «Purtroppo questa rilevanza non è percepita né dalla comunità locale, né dalle istituzioni né, forse, dagli stessi produttori e dalle loro rappresentanze. Quelle che nel corso degli anni forse non hanno fatto tutto il possibile per fare squadra e dare connotazione qualitativamente adeguata, e comunicazione culturalmente forte, al loro settore. Forse, con l’Expo alle porte, qualcosa si può fare ancora. Dopotutto le crisi servono anche a questo: a trasformare le difficoltà in opportunità da cogliere. Basta volerci tentare» conclude. (14.07.14)

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