In Italia l’approvvigionamento di fertilizzanti è a rischio: mancano quelli di origine minerale, come riporta il rapporto settimanale di Gaotrade, The Rice. Dalla Russia e dall’Egitto, ma anche dai paesi dell’Est europeo oltre che da Francia e Germania, arriva il 75-80% dei nutrienti alla base dei fertilizzanti usati in Emilia Romagna. Ma ora le importazioni sono bloccate. L’Italia impiega in agricoltura un volume annuo di fertilizzanti pari a 2,5 milioni di tonnellate (fonte: Silc), ma solo una piccola percentuale, quella di origine biologica, è disponibile sul mercato nazionale. La restante parte non può essere prodotta internamente perché è costituita da sostanze minerali esclusivamente importate e il loro costo, spinto in alto dagli aumenti di energia e logistica, ha frenato gli importatori italiani aprendo una situazione di stallo. Continua la corsa ai prezzi delle materie prime utilizzate per la produzione di agrofarmaci, sempre più concentrata in Cina. L’Italia rischia di pagare il conto più salato del deficit comunitario. Dall’aumento del costo dell’energia a quello della logistica alla concentrazione della produzione in Cina, il prezzo delle materie prime utilizzate per la produzione di agrofarmaci e fertilizzanti si sta gonfiando in modo preoccupante, con il conseguente aumento del valore sulle aziende agricole e sui prodotti ai consumatori finali. E l’Italia, paese povero di materie prime, potrebbe soffrire più di altri la mancanza di fertilizzanti necessari per far ripartire i cicli colturali da gennaio. Alcune produzioni di materie prime fondamentali nella fabbricazione degli agrofarmaci, dal fosforo all’ammoniaca e al cloro, sono molto energivore, tanto che diversi impianti di produzione di ammoniaca e derivati dell’azoto in Europa sono stati recentemente fermati dall’impennata del costo del gas. Il costo energetico associato all’elettrolisi per la produzione di cloro e soda è cresciuto enormemente, con ripercussioni sui prezzi finali dei due prodotti, utilizzati anche in molti settori industriali. Nel 2021, con la ripresa post-Covid, la logistica è diventata un fattore limitante. La forte domanda di materie prime e la carenza di navi e container, la chiusura di alcuni porti asiatici per l’emergenza sanitaria e gli oligopoli nel trasporto marittimo internazionale in mano a poche compagnie, hanno fatto lievitare i costi. Un container di 20 piedi, che costava 1.500 dollari sulla rotta Cina-Europa prima della pandemia, ora può costare fino a sette volte di più. L’incidente del canale di Suez del marzo scorso, con la “Ever Given”, un colosso di 224 mila tonnellate che ha bloccato il traffico marittimo lungo un’arteria globale essenziale, ha amplificato il problema, evidenziando la fragilità del sistema.
Per limitare i ritardi ed evitare di arrivare in ritardo sul mercato quando si superano i tempi agronomici, le aziende cercano di anticipare ordini e spedizioni, causando di fatto altri ingorghi. I principali attori internazionali, come Sipcam Oxon, possiedono impianti di sintesi in joint venture locali o contratti di sintesi personalizzati con le industrie chimiche cinesi. Spesso i principi attivi vengono esportati per essere formulati in loco, ma anche l’attività di formulazione diretta nel grande paese asiatico è in crescita. Allo stesso tempo, sta aumentando anche la produzione di prodotti fitosanitari in India, che a sua volta dipende dalla Cina per molti intermedi. Pechino ha indicato l’obiettivo del 2060 di diventare una potenza economica a zero emissioni, sulla falsariga di quello che l’Ue prevede di fare entro il 2050. L’obiettivo della neutralità della Co2 è un nobile intento, ma sta diventando un freno per l’industria chimica cinese. Ogni provincia ha un limite/obiettivo di emissioni sotto il quale conformarsi nel 2021, ma già a metà anno il traguardo è stato raggiunto e il governo centrale ha imposto di tagliare drasticamente e ridurre le forniture di energia. Questa misura ha portato alla chiusura di molti impianti e a una riduzione della produzione del 30-40% e fino al 50% in alcune province. Sul costo delle materie prime, va detto per completezza, pesa anche la guerra commerciale dei dazi tra Usa e Cina, che colpisce, oltre ai pesticidi, altri settori. A questo punto sarebbe auspicabile cambiare l’offerta alla fonte. Dopo il pesante spostamento verso la Cina, gli investimenti nel settore sono cambiati da diversi anni e si stanno cercando nuove opportunità in altri paesi, a partire dall’India, rivalutando la chimica europea, certamente meno competitiva in termini di costo del lavoro, ma più affidabile in termini di continuità. (Nella foto, un impianto Oxon)