Faccia a faccia con un monumento della risicoltura. Antonio Finassi, 88 primavere, una laurea in Scienze Agrarie nel 1956, quindi agronomo (timbro numero 1 dell’Ordine vercellese) e ricercatore CNR. Un uomo di profondissima esperienza, specializzato in meccanizzazione agricola con particolare riferimento alla coltivazione e conservazione del riso, è autore di 75 pubblicazioni scientifiche e referee scientifico: ha effettuato missioni per conto della FAO, FIAT Agri e società di monitoraggio in 20 Paesi nel Mondo ed è stato relatore in convegni internazionali e socio della ASABE, SIA, AIIA. Ma “soprattutto” è stato anche risicoltore, in quel di Costanzana (VC).
Tutto iniziò nel 1966…
Ci accoglie con una ricostruzione storica sulla crisi che viviamo: «Nel 1966, al termine di un lungo periodo di crisi, la superficie risicola era 125.000 ha, circa la metà di quella odierna; la spinta produttiva verificatasi negli anni seguenti all’intervento della Comunità europea, ha determinato un periodo di più decenni estremamente favorevoli a cui è seguita la crisi di sovrapproduzione che viviamo oggi. La fame esiste, non per mancanza di cibo ma per problemi di distribuzione, per cui oggi il problema dell’azienda è far quadrare i conti più che produrre il massimo possibile. Bisogna valutare il fatto che esistono costi comprimibili e altri che non lo sono, come risulta dal recente studio “Il bilancio economico dell’azienda risicola” (redatto dalla Associazione dei Laureati in Scienze Agrarie di Vercelli e Biella e pubblicato da ANGA nel 2017), in cui sono analizzati i bilanci di 4 tipi di azienda risicola, cercando di chiarire questa differenza e spiegando che bisogna ragionare in base ai ricavi e alle spese, non più sulle superfici, che rappresentano un dato poco significativo, a causa della grande capacità produttiva delle nuove varietà. I risicoltori sono poco propensi alla collaborazione e alla riflessione razionale, nessuno vuole cedere parte della propria libertà e si finisce per inseguire il mercato, svalutando le proprie produzioni. Il lavoro delle associazioni di settore non è efficace e non migliora questa situazione».
Serve la rotazione
Tanto basterebbe per chiarire tutto, ed invece Finassi ha dell’altro: «Nell’ambito agronomico, in futuro sarà forse meglio rinunciare ad una parte di produzione di riso, adottando la rotazione o l’avvicendamento. Il costo economico di queste pratiche può essere mitigato attraverso l’utilizzazione di tutti i possibili contributi della PAC, contributi che ormai sono tutti condizionati da una richiesta agronomica specifica, nel tentativo non di favorire la produzione, ma gli aspetti ecologici ed ambientali, che sarebbero indispensabili utilizzando la rotazione, per far quadrare il bilancio. In particolare, oggi ciò viene remunerato dal PSR, che ha il problema di essere poco pratico, a tratti contraddittorio e concepito per lo più su di una scrivania lontano dai campi; ciò nonostante bisogna sfruttarlo, nell’ottica di un’azienda basata sulla stretta monocoltura risicola. Tornando alla rotazione, essa sarebbe molto utile anche per il contenimento delle infestanti, sempre più numerose, aggressive e resistenti ai pochi principi attivi. Una soluzione valida potrebbe essere la soia, che consente di utilizzare principi attivi vietati per il riso, fornendo un’alternativa colturale adatta ai nostri terreni e impiegando il parco macchine utilizzato in risicoltura».
Troppi soldi a pseudo-ricerche sul bio
Finassi è un attento osservatore anche del settore biologico: «Trovo che sia un’ottima proposta commerciale, anche se i vantaggi ecologici ed agronomici sottolineati sono relativamente verificati e non significativi. E’ un marchio, utile per lo più a livello economico. Biologico significa equilibrio tra le componenti della coltivazione. L’agricoltura non mira all’equilibrio ambientale ma alla produzione , avendo come scopo produrre alimenti per una sola specie: l’uomo. Lo sviluppo demografico e l’inurbamento sono i veri ostacoli della tecnica biologica; l’uomo è di per sé la bomba atomica dell’ecologia. Una delle problematiche maggiori, che genera oggi un particolare interesse per questo tipo di produzioni nel mondo agricolo, è il fatto che le istituzioni, per motivi politici e sociali, negano finanziamenti a progetti scientifici e danno liquidità a progetti che sono legati a questo marchio ma hanno pochi risultati scientifici tangibili: ad esempio gli studi sul trapianto che abbiamo visto in quest’ultimo periodo ripercorrono strade già percorse in passato (forse sconosciute perché non presenti in rete), senza creare alcun valore aggiunto, nonostante l’importante investimento pubblico. Il vero impegno istituzionale dovrebbe essere volto ad obiettivi diversi: ad esempio, la riorganizzazione della produzione, che permetterebbe agli agricoltori di non essere controllati dal mercato».
La clausola non convince
Quanto ai temi commerciali, Finassi è perplesso sulla Clausola di Salvaguardia «in quanto ritengo sia uno strumento temporaneo e parziale, che non risolverà davvero il problema dei prezzi bassi. Una soluzione per i risicoltori potrebbe essere un contratto a prezzo fisso: decidendo alla semina il prezzo e assicurandosi tale vendita si può organizzare meglio il proprio sistema aziendale, redigendo e valutando il bilancio senza variabili nascoste. Certo ciò potrebbe creare uno svantaggio in caso di crescita dei prezzi, ma la stabilità che si genera porterebbe un sicuro vantaggio all’imprenditore agricolo, che, essendo più consapevole, potrebbe effettuare le scelte migliori».
Speranza nel Genome editing
Finassi è un esperto di meccanizzazione e riguardo alla tecnologia la considera fondamentale, ma per il futuro del settore – sottolinea – deve continuare ad esserci «il controllo vigile dell’uomo, che non deve permettersi distrazioni a causa della maggiore comodità». Altro ambito d’interesse scientifico, oggi e nel futuro, deve essere la genetica, che può creare una nuova speranza per l’agricoltura: «in particolare ho forti aspettative per l’argomento Genome Editing, che non deve essere considerato un metodo per la creazione di OGM» dichiara.
La velocità è la salvezza
Per chiudere, ci spiega, «è importante avere una visione olistica e mantenere un adeguato livello di flessibilità, adattarsi alla situazione in cui ci troviamo puntando a far quadrare il bilancio aziendale con una corretta ripartizione del tipo di prodotto. L’uomo battaglia con la natura poiché è adattabile; anche noi nel campo agricolo dobbiamo esserlo, in una situazione che si evolve velocemente in questo periodo storico. Se il ghiaccio su cui camminiamo è sottile, la velocità è la nostra salvezza!» Autore: Ezio Bosso