«Abbiamo apprezzato la visita del commissario europeo per l’agricoltura e lo sviluppo rurale Phil Hogan in due realtà di spicco della nostra agricoltura meridionale. L’attenzione e la disponibilità del commissario ci fanno sperare che i problemi sul tappeto possano essere affrontati e risolti». Lo hanno detto lunedì sera il presidente ed il direttore generale di Confagricoltura, Mario Guidi (foto piccola) e Luigi Mastrobuono, intervenendo rispettivamente agli incontri che Hogan ha tenuto a Catania e Caserta, dove si è parlato del futuro della Pac, delle politiche europee in generale e dell’impatto sul Mezzogiorno. Parole di galateo, certo, perché la sostanza è che Confagricoltura è molto perplessa sulla politica europea e Guidi non lo nasconde: «La politica agricola comune in vent’anni – ha sottolineato – è stata modificata cinque volte slegando gradualmente i suoi strumenti dalle evoluzioni del mercato. L’impegno ora deve essere quello di pensare a nuovi strumenti di politica adeguati alle esigenze dei comparti produttivi e capaci di aiutare le imprese a fronteggiare le crisi». Il focus è l’agricoltura meridionale ma l’associazione sta salendo sulle barricate con un occhio a tutto il settore primario. Chiede un cambiamento di rotta sugli accordi di libero scambio su base bilaterale «a partire quelli con i paesi mediterranei e l’Africa subsahariana» e invoca «una vera reciprocità e allineamento degli standard di produzione e per una maggiore cautela dal punto di vista sanitario e fitosanitario nelle importazioni di prodotti agricoli». Il tema riguarda anche il riso, come abbiamo documentato in questi mesi, perché, come ha riconosciuto recentemente Guidi commentando lo stop della Corte di Giustizia di Lussemburgo di fronte agli accordi con il Marocco, «si è riaperto improvvisamente il dibattito sulle modalità della globalizzazione e sulle regole degli scambi». Anzi, partendo da quell’accordo, relativo all’applicabilità ai territori del Sahara ex spagnolo, il presidente di Confagricoltura ha sottolineato che i Paesi africani applicano dazi più che doppi rispetto a quelli europei e lo stesso dicasi per l’India e la Turchia, due mercati per motivi diversi connessi a quello del riso italiano. «Non possiamo parlare di ‘fortezza agricola europea’ – ha concluso il presidente di Confagricoltura Mario Guidi – Per questo prima di stipulare una nuova intesa, si approfondiscano tutte le possibili conseguenze degli accordi e si verifichino con attenzione le effettive condizioni di reciprocità tra i Paesi contraenti. Per non parlare poi di avversità fitoparassitarie o insetti dannosi, da noi non presenti, ma presenti in Paesi da cui importiamo prodotti agricoli e che poi ci ritroviamo nei campi; oppure prodotti fitosanitari da noi non registrati che troviamo nei prodotti agricoli ed alimentari che importiamo regolarmente». Se questa è l’analisi, le conseguenze sono due: bisogna costringere l’Europa (e magari anche il governo italiano, a partire dal ministro Calende…) a riconoscere che oltre all’olio e all’ortofrutta, a soffrire la concorrenza sleale dei prodotti d’importazione c’è anche il riso; bisogna ripensare le strategie di contenimento delle importazioni dai Pma, visto che quelle poste in essere in questi anni, a partire dalla richiesta di una clausola di salvaguardia, sono affondate nell’indifferenza della Commissione europea (e, a parer nostro, nella scarsa convinzione con cui il governo le ha avanzate). Tirare le somme del ragionamento di Guidi pare doveroso, come pare doveroso avviare una riflessione franca: difendere l’agricoltura nazionale significa essere antieuropei?
IL RISO E’ SOST
Presentati i risultati della sperimentazione Risosost