Quello della risicoltura italiana non è solo un problema di mancato raccolto, ma anche di costi e di programmazione. Certo, le ferite messe a nudo dalle mietitrebbie sono profonde. E sanguinano: «Mediamente saranno tre quintali a ettaro in meno, forse quattro, ma se parliamo dell’indica quest’anno potrebbe mancare all’appello il 10%». Dalla Lomellina Osvaldo Gabetta ci conferma con queste parole la tendenza al ribasso produttivo. Quest’area, si sa, è la regina dei risi tondi anche se la superficie investita in tali varietà quest’anno è scesa, com’è sceso il lungo B, messo sotto pressione dalle importazioni cambogiane. Gabetta è fortemente esposto su questo fronte e vanta un osservatorio di tutto rispetto per analizzare l’anno del riso da quest’angolatura geografica: un’azienda di 234 ettari a Valeggio Lomelline, una di 120 a Robbio, risaie di indica a perdita d’occhio e quel che non è lungo B è comunque riso da esportazione. Da queste parti il crodo la faceva da padrone una volta: oggi vedi solo Clearfield. «In annate come questa – spiega il risicoltore – sconfiggere le malerbe fa la differenza tra pareggiare o fallire e purtroppo l’Europa non lo capisce, continua a inseguire il mito dell’agricoltura senza chimica e ci porta ogni anno sull’orlo dell’abisso». Il riferimento è alle autorizzazioni in deroga dei prodotti fitosanitari che tengono a bada funghi e malerbe. Non è una novità, ma il problema in tempi di crisi climatica e di listino diventa esplosivo. Queste autorizzazioni, infatti, vengono concesse ogni anno in extremis anche se non hanno una reale alternativa: «I giavoni di oggi non li ammazza più nessuno, tu tratti e loro resistono, tu ripassi e loro spuntano anche ad agosto… Un’infestazione è in grado di coprire l’80% del campo e vanificare il lavoro di un anno» spiega l’imprenditore.
Malerbe e clima, binomio perfetto per mettere in ginocchio la risicoltura. Quest’anno l’Italia ha autorizzato quinclorac, propanile, pretilachlor e il fungicida triciclazolo a primavera inoltrata «per situazioni di emergenza fitosanitaria» e, per alcuni di questi prodotti, imponendo l’assoluto divieto di impiego nelle aree Natura 2000, cioè in gran parte della Lomellina… Il “cucchiaio” ringrazia, e anche il riso asiatico, che viene importato a dazio zero e non deve neanche passare sotto le forche caudine delle autorizzazioni in deroga. L’incertezza di concessione di tali autorizzazioni, si dice, incentiva il mercato nero e, sicuramente, crea difficoltà nella programmazione degli investimenti. Ce lo conferma Giuseppe Mangolini, il fattore dell’Agritorre di Robbio: seicento ettari a riso. Anche in questo caso l’annata potrebbe concludersi con un importante segno meno. «Quando il clima non aiuta, e quest’anno non ha aiutato, esplodono le resistenze perché le erbe si fanno più aggressive» ci racconta il tecnico. Il suo incubo è il giavone bianco: «trattare costa ma se non tratti butti via la campagna. Purtroppo, l’unica alternativa a questi prodotti è la monda a mano: le Autorità vogliono che torniamo agli anni Trenta? Il cambiamento climatico sta infierendo sulla risicoltura, abbiamo bisogno di certezze almeno sui prodotti che si possono usare e non usare e chiediamo che queste certezze non divengano tali all’ultimo minuto, quando non trovi più i prodotti sul mercato o li devi pagare a prezzi stratosferici». Insomma, si guarda già alle semine 2015 e, poiché le incertezze climatiche non si possono esorcizzare tanto facilmente, nelle campagne della Lombardia si punta a diradare la nebbia su regole e divieti che vanno ad appesantire i costi della risicoltura italiana. (02.11.14)