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AGRONOMI A LEZIONE DI RISO

da | 8 Set 2019 | Tecnica

L’Ente Risi apre le sue porte agli agronomi lombardi con una visita tecnica promossa dalla Società Agraria di Lombardia, in collaborazione con L’ODAF di Milano nella mattinata di mercoledì 5 settembre, presso il Centro Ricerche dell’Ente Risi di Castello D’Agogna (Pv). Flavio Barozzi, Presidente SAL ha aperto il convegno così: «Siamo nella sede dell’Ente pubblico intra-professionale che rappresenta un unicum nel panorama agricolo professionale, poiché coinvolge tutti gli operatori della filiera. C’è una ricerca pubblica applicata sul campo che opera dal 1931 con tante sfaccettature: storicamente l’Ente ha avuto un ruolo (fino a pochi anni fa) nella gestione del mercato, dovuto alla necessità di conferire prodotto all’intervento, nella ricerca e nell’assistenza pubblica a servizio della risicoltura italiana e non solo. In una bilancia agroalimentare come quella italiana, il riso ha sempre rappresentato una voce attiva e fin dai tempi di Cavour, è una storia di esportazione e non solo di mercato interno»

Riflettendo sul pensiero di Cavour e su i suoi scritti, Luigi Mariani, professore di Storia dell’Agricoltura presso l’Università degli Studi di Milano ha ricordato che «nelle lettere del Conte a Giacinto Corio (agronomo collaboratore di Camillo Benso), premettendo che aveva tre aziende ( Leri, Montarucco e Torrione) per un totale di circa 1170ha, si capisce che faceva risicoltura avvicendata con mais, frumento e ovviamente zootecnia. Si parla degli anni che vanno dal 1840-56: le lettere che per un periodo si scambiano sono intrinse di considerazioni sull’innovazione genetica e agrotecnica. Troviamo idee di nuove varietà come l’Ostiglia, Resta Nera, Clericano (tutti risi originari) e soluzioni agrotecniche, avendo Cavour nelle sue aziende la problematica di sgrondare i terreni, portare via l’acqua rapidamente. Tutto questo quindi si può cogliere come una vocazione all’innovazione, molto stringente in questa coltura, che, ricordiamolo, è una delle cinque contribuenti al 70% della sicurezza alimentare a livello globale: frumento, mais, riso, sorgo e soia. Sul sito Faostat, l’Italia è al 15^ posto per rese e 26^ per produzione globale: 1.6 milioni di t contro 214 milioni di t della Cina. Sul sito Irri (International Rice Research Institute) ci sono le linee di ricerca per l’aumento della sostenibilità ambientale della coltura, riduzione inquinamento acqua/aria (per unità di prodotto). A questo proposito il problema CH4, di cui parleremo dopo è un aspetto da considerare tuttavia, tenendo ben presente che la risicoltura occupa aree che già originariamente erano sommerse, paludose e quindi già emettevano metano. Andremo ad affrontare anche tematiche cruciali, come l’innovazione nella genetica e agrotecnica, per l’agricoltura intensiva, sistemi di supporto alle decisioni del produttore e resilienza delle colture marginali (non è un problema italiano ma incide globalmente). L’ultimo elemento su cui a livello globale c’è molta attenzione è la qualità nutrizionale. Si parla di provitamina A, in questo caso c’è il discorso del “golden rice”. Si parla poi di carenze di ferro, zinco ed antiossidanti. Sono tutti elementi su cui la ricerca internazionale è impegnata. Per noi italiani, tuttavia, questo aspetto nutrizionale non è così centrale, abbiamo una dieta molto più variegata ma, per altre aree del mondo è un aspetto fondamentale».

A sua volta, Marco Romani, Responsabile settore agronomia dell’Ente Risi, ha presentato la risicoltura e tutte le sue principali criticità: partendo da un inquadramento generale ha ricordato che il nostro areale risicolo contribuisce al 50% della Sau europea, con i suoi 217,195ha (dato Enr 2018), di cui 50% in Piemonte, 43% Lombardia e 7% altri. Sono 4100 le aziende, 100 le riserie (dati Enr 2017) per un totale di 1550000 t di riso bianco prodotte, con una media nazionale di 6t, tenendo conto che molte delle 157 varietà coltivate (dato Enr 2018) sono tradizionali, storiche, quindi, un po’ meno produttive rispetto a quelle moderne, del quale: il 50% è destinato ai Paesi Ue (prevalentemente per contorni), il 40% per il mercato interno e 10% paesi terzi (Turchia in primis). I nostri territori risicoli non utilizzano l’acqua alla fine del suo ciclo come accade in Spagna, Francia, Grecia e Portogallo, dove hanno problemi di salinità ma, deriva dai ghiacciai, immagazzinata prima nel lago Maggiore e successivamente più a valle dalla risicoltura del nord-ovest, la quale restituisce l’acqua al bacino del fiume Po nei periodi successivi. (Domani pubblicheremo la seconda puntata della visita, illustrando gli interventi dei responsabili dell’Ente Risi) Autore: Martina Fasani

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