L’Airi si pone alla testa di un’attività di filiera volta a difendere lo spazio di mercato del riso italiano in Gran Bretagna attraverso un accordo di libero scambio che tenga conto dell’origine dei prodotti, nel caso del riso vedrebbe avvantaggiata la produzione italiana. La Brexit, rimane per il nostro mercato italiano la più grande incertezza del momento, una zona d’ombra significativa con uno spiraglio di luce. Airi sta richiamando gli stakeholders sulla necessità di agire per ottenere un accordo che mantenga gli attuali equilibri di scambio.
Vediamo nel dettaglio i quantitativi in gioco: il Regno Unito non produce riso e consuma circa 380 mila tonnellate, di cui 160 mila importate dall’UE e il resto principalmente dall’Asia, delle quali circa 180 mila tonnellate di riso basmati da India e Pakistan.
Dopo Francia e Germania, Londra è il terzo mercato di sbocco per il riso italiano. Nelle ultime tre campagne l’Italia ha venduto nel Regno Unito quantitativi compresi tra 65 e 80 mila tonnellate, che rappresentano circa l’8% della produzione italiana di riso. Oltre il 70% delle vendite italiane nel Regno Unito sono costituite da riso tondo, per la maggior parte destinato alla seconda trasformazione industriale. Circa il 20% è riso di tipo japonica, in gran parte varietà di riso tradizionali italiane per la preparazione del risotto e già confezionato per il consumatore finale.
Il mantenimento di questo mercato di sbocco per il riso italiano è indispensabile per evitare una crisi del settore. Ad incidere è anche il rapporto di concorrenza tra il riso comunitario e quello mondiale: il riso coltivato nell’Unione Europea ha fattori di costo più elevati del riso prodotto in particolare nell’estremo oriente, e non può competere direttamente con questo senza una adeguata protezione tariffaria. Il regime doganale dell’UE mantiene un livello dei prezzi interni più elevato del mercato mondiale evitando così di pregiudicare la produzione comunitaria che è comunque deficitaria: il tasso di autoapprovvigionamento UE è del 60%.
Infine la questione dazi. Nel maggio 2020 il Governo inglese ha pubblicato i dazi all’importazione dal resto del mondo, a eccezione di preferenze tariffarie o altri accordi commerciali, che si applicheranno dal primo gennaio 2021. Nella seguente tabella si hanno i dazi (i valori sono convertiti al tasso di cambio £/€ del 5 giugno) che si applicheranno per il riso confrontati con i dazi attualmente in vigore nell’Unione Europea.
UK, cioè il Regno unito, ha fissato i dazi considerando un tasso di cambio convenzionale di 0,83687 con l’intento di fissarli al livello europeo. Per effetto del cambio reale, i dazi che si applicheranno al riso sono oggi leggermente inferiori ai livelli minimi oggi applicati dall’UE. Questo regime consentirà di mantenere il prezzo interno del mercato inglese ad un livello vicino a quello dell’Unione Europea, fatta salva l’applicazione di regimi preferenziali o altre concessioni più vantaggiose di quelle oggi in essere nell’Unione Europea. «Affinché il nostro riso possa continuare ad essere esportato nel Regno Unito è necessario – sottolinea il presidente dell’Airi Mario Francese – che possa accedere a quel mercato in esenzione di dazio. Parallelamente è necessario evitare che il prodotto importato nel Regno Unito a dazi inferiori possa essere riesportato dal Regno Unito verso l’Unione Europea». Nel disegno dell’Airi, il riso lavorato mantiene l’origine del Paese in cui viene coltivato e un accordo di libero scambio per i prodotti originari dei rispettivi Paesi consentirebbe di mantenere il nostro mercato evitando il rischio di triangolazioni. Questa soluzione è già negli auspici dei documenti negoziali dell’UE e del Regno Unito, sottolinea l’industria. Autore: Martina Fasani