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MONDINE IN CAMPO

da | 3 Mar 2015 | Il Personaggio, NEWS, Riso in cucina

cop_MondineNon è il solito libro di memorie ma una ricerca scientifica molto seria su una figura scomparsa, appartenente a uno scenario sociale scomparso. “Mondine in campo” di Barbara Imbergamo ricostruisce vita, lavoro e lotte delle mondine tra la fine dell’Ottocento e i primi anni Sessanta: da poverissime braccianti a lavoratrici rispettate e consapevoli dei propri diritti, da donne sfruttate a icone della femminilità. Una storia dinamica e sfaccettata di una icona del lavoro del novecento.  Il testo, che ha vinto il premio Gisa Giani 2014, è edito da Ed.it editpress e viene venduto a 18 euro. Si seguito vi proponiamo l’introduzione in cui l’autrice illustra il proprio lavoro di ricerca: «Benché abbia inizio qualche decennio prima del XX secolo e si concluda poco dopo il 1960, la storia delle mondine è in tutti i sensi, per caratteristiche e andamento, “una storia del Novecento”, una storia del Secolo del lavoro. Nella sua parabola possiamo rintracciare temi, passaggi e accadimenti simbolici che fanno del lavoro novecentesco una fattispecie affatto diversa sia rispetto all’esperienza ottocentesca sia rispetto a quella con cui abbiamo a che fare nel nuovo millennio: la nascita delle leghe sindacali, le lotte e gli scioperi, la conquista di diritti e del welfare, le tutele; ma anche, la riconoscibilità delle figure operaie, dei lavoratori in genere e, più tardi, delle lavoratrici; la dignità del lavoro come elemento cruciale nella costruzione di un moderno Stato democratico e nella “nazionalizzazione” dei cittadini.

Si tratta, come è stato più volte ripetuto, di una serie di temi cardinali nella identificazione di un «Novecento del lavoro» – durante il quale lavoratori e lavoratrici passano dalla “eterogeneità” di figure a occupazione spesso multipla e temporanea ad una collocazione strutturata e ben definita nel mercato del lavoro1 –, tutti ben presenti nella storia delle mondine. Non a caso questa esperienza viene spesso richiamata per fare da riferimento paradigmatico, e da contrappunto esemplare, a diversi aspetti del lavoro novecentesco, per la fatica che comportava al ruolo giocato nelle lotte, dalla precoce sindacalizzazione alla conquista non solo di migliori condizioni di lavoro, ma di una maggiore dignità della categoria e di chi vi apparteneva.

Delle lavoratrici del riso si è scritto molto – in saggi e volumi, in rievocazioni e memorie –, soprattutto in riferimento ad alcuintni momenti topici dell’età contemporanea: le lotte nelle campagne tra fine XIX e inizio XX secolo, lo sviluppo del capitalismo agrario della Val Padana irrigua, il fascismo e la Resistenza. Ma solo raramente le si è studiate prendendo in considerazione l’intero arco di tempo in cui esse sono state attive, e mai considerandole nel loro complesso. Di mondine e risicoltura si legge in saggi sulla Val Padana che esaminano le condizioni di lavoro, di vita e di salute, o gli aspetti più legati alla storia sindacale, focalizzati ora su specifici momenti o aspetti della loro esperienza tra Ottocento e Novecento2, ora invece in ricostruzioni riferite più in generale alle lotte che i braccianti e le braccianti di quell’area condussero nello stesso arco di tempo3. Storiche del lavoro femminile hanno scritto delle mondine esaminandole “da vicino” in saggi dedicati ad esplorare momenti, episodi e aspetti specifici4 della loro storia, o in opere di più ampio respiro fondate su fonti secondarie che le includono, attrici tra le altre, nel comporre e ricostruire la storia del lavoro femminile, agricolo e non5. A tenere viva l’attenzione sulla figura delle mondine ha infine contribuito una vivace produzione di memorialistica e di studi micro-locali6.

Dalla combinazione di studi diversamente centrati sia dal punto di vista dell’argomento che del tempo e dello spazio si è venuto componendo un ritratto delle lavoratrici modellato sugli episodi più alti e significativi della loro vicenda pubblica. Non di rado infatti i saggi propongono letture approfondite dei primi anni del secolo per gettare poi sguardi più veloci e meno analitici ai decenni successivi per i quali, di fatto, si danno per buoni – quasi per osmosi – i medesimi comportamenti e valori che avevano contraddistinto le lavoratrici negli anni precedenti: con la conseguenza, ad esempio, di dare per scontata una volta per tutte l’attitudine combattiva delle mondine7. È così che eventi e scioperi accaduti in specifici anni e singoli luoghi hanno finito per assumere un significato paradigmatico, andando a connotare tutto il tempo e tutto lo spazio in cui esse hanno operato, cancellando differenze di provenienza e di formazione, di at-titudini, di condizioni e di comportamenti, fino a dar vita ad un immaginario di personaggi astratti, quasi impermeabili alle articolazioni e alle dinamiche della storia.

Qualunque sia l’epoca e l’area su cui si concentra lo studio, le mondine sono insomma presentate come un esempio vivente di fatica, sfruttamento e lotte, nel contesto di una scena invariabilmente occupata – accanto a loro – da caporali, zanzare, carri trainati da cavalli e scioperi di protesta: una scena che – nella sua apparente immobilità – viene trascinata lungo i decenni fino a reiterare una storia sempre uguale a se stessa. Col risultato di costruire un immaginario collettivo della vicenda delle mondine scandito più dalle continuità che dalle rotture, dalle permanenze più che dai cambiamenti: un risultato favorito dal fatto che il lavoro di monda in quanto tale non subì nessuna modificazione significativa – fu sempre un lavoro manuale da compiere senza l’ausilio di nessuno strumento –, restando fino all’ultimo inesorabilmente legato ai medesimi gesti e alla medesima fatica di donne che si succedevano sui campi anno dopo anno, decennio dopo decennio.

È dai volumi a loro dedicati molti anni or sono da Luigi Faccini8 – citato per ultimo proprio per il rilievo avuto nel dare il la alla mia ricerca – che ho tratto spunti e indizi che invitavano a puntare l’obiettivo sulle fasi di snodo e di cambiamento, ma nell’ambito di una scelta incentrata sulla ricostruzione dell’intero arco temporale del lavoro di monda e delle sue vicende nell’insieme della Valle Padana irrigua. D’altronde, passando dalla puntuale ricostruzione dinamica delle vicende della risicoltura e dei lavoratori del riso tra Settecento e Ottocento – quasi un “punto zero” della risicoltura intensiva operata da Faccini – alla lettura di periodici e documenti d’archivio relativi agli anni del fascismo9 e del secondo dopoguerra, emergono le differenze profonde che caratterizzano le due fasi; ciò favorisce una lettura orientata alla ricerca del mutamento. Andare avanti e indietro fra epoche tanto diverse mi ha obbligata a prendere atto che le lavoratrici ammassate sui carri e arruolate in piazza dai caporali del XIX secolo non erano “le stesse” che riempivano lepagine de «La Mondina» negli anni Trenta, al centro di foto che le ritraevano mentre ricevevano bevande e cibo ai posti di ristoro allestiti lungo le stazioni. Tra la fine del Settecento e la metà dell’Ottocento, a lavorare nelle risaie – raggiunte a piedi e con carri dai paesi vicini – erano uomini e donne di poverissima condizione vittime della malaria, della fame e di uno sfruttamento senza fine. Nei primi anni Sessanta del Novecento, poco prima della fine della monda manuale, a popolare le risaie erano donne dell’Italia meridionale che viaggiavano su moderni pullman, dotate di una “sacca della mondina”, contenente abbigliamento da lavoro e utensili di varia natura, omaggio del Ministero del Lavoro per facilitare l’approccio alla risaia delle lavoratrici del Sud improvvisatesi mondine negli anni del boom economico.

Le diverse provenienze geografiche, così come le mutate modalità di viaggio, costituiscono ovviamente solo un esempio di ben più vasti e profondi mutamenti occorsi nel tempo (soprattutto per quel che riguarda gli aspetti legati al “farsi” delle lavoratrici del riso in quanto figura pubblica) e ricostruiti nei capitoli che seguono, in cui – dopo aver gettato un rapido sguardo all’indietro, fino al XVIII secolo – si è scelto di prendere in esame l’intero periodo compreso fra l’età liberale e gli anni Sessanta. Per reazione ad una vulgata “immobilista”, ma anche per fedeltà alla ricca documentazione esistente, nelle mie pagine l’accento batte, come si vedrà, sul dato del cambiamento. Cambiano, in effetti, i governi e le ideologie del lavoro; cambiano gli obiettivi economici, le tutele sanitarie, previdenziali e normative; cambia il tenore delle rivendicazioni delle lavoratrici, così come le forme di assistenza e di intrattenimento. Ed è proprio l’insieme di tutti i piccoli e grandi cambiamenti occorsi che contribuisce a raccontarci (e a qualificare) la vicenda delle mondine, che da povere braccianti migranti divennero a tutti gli effetti – nell’immaginario collettivo, ma spesso anche nella realtà – lavoratrici rispettate e cittadine consapevoli, attraversando nel corso del secolo un significativo processo di nazionalizzazione. Il volume si fonda su un vasto lavoro di ricerca su fonti primarie e secondarie molto eterogenee. Ho tratto buona parte della documentazione a carattere istituzionale dai fondi dell’Archivio Centrale dello Stato di Roma (ACS). Per il periodo fascista, in particolare, ho trovato preziose indicazioni nei fondi del Ministero dell’Interno, sezione della Pubblica Sicurezza, e in quelli della Presidenza del Consiglio dei Ministri, carte della Segreteria particolare del duce. Per il periodo bellico e post bellico gran parte della documentazione relativa alla gestione ordinaria delle campagne di monda è conservata all’ACS, nei fondi del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale (sezione relativa al collocamento della manodopera e alle migrazioni interne), dove sono conservate relazioni sulle campagne di monda, interpellanze parlamentari, fotografie di squadre di donne e bambini in colonia, lettere tra Ministri, e insomma una congerie di documenti senza dubbio eterogenei, ma utili a comporre un quadro dettagliato delle condizioni di vita e di lavoro delle mondine. Per il clima politico e le comunicazioni inerenti l’ordine pubblico ho consultato, anche per gli anni del secondo dopoguerra, i faldoni del Ministero dell’Interno. Soprattutto per gli anni del fascismo e del dopoguerra mi sono state preziose le incursioni fatte negli Archivi di Stato di Vercelli e di Milano.

Ho utilizzato ampiamente – in particolare per gli anni della seconda guerra mondiale – la documentazione di origine sindacale conservata presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano e presso l’archivio della Camera del Lavoro di Reggio Emilia, ricchi di documenti sulle vicende delle forze politiche e sindacali di opposizione negli anni del fascismo, ma anche sulla presenza e sull’attività del sindacato fascista nelle campagne di monda. Di grande interesse, infine, sono risultate le rilevazioni statistiche e le inchieste a tema pubblicate a partire dal periodo liberale da organi istituzionali e da enti di varia natura, dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio alla Società Umanitaria, dall’Inea all’Alto Commissariato per le Migrazioni Interne, dalla Confederazione Fascista Lavoratori Agricoli (CFLA) all’ISTAT. Altrettanto importante è stata la lettura analitica di numerosi periodici  specificamente dedicati alle mondine e, in particolare, de «La Risaia», organo del sindacato vercellese, che copre molti decenni di storia, e de «La Mondina», che uscì in modo regolare nel Ventennio fascista. Ma anche, per il secondo dopoguerra, di testate di sindacati, associazioni e partiti particolarmente attenti alle vicende delle mondine come «Rassegna Sindacale», «Il Lavoro», «Noi Donne», e di periodici di matrice padronale o a carattere tecnico come «Il Riso», «Agricoltura», «Rivista di Economia Agraria». Un ruolo significativo nell’indirizzare la mia ricerca e nel definirne il profilo l’hanno però avuto anche le fonti narrative, fotografiche e filmiche – e in misura minore le interviste orali –, che mi hanno aiutato a mettere a fuoco le dinamiche che hanno presieduto alla costruzione e al consolidamento dell’immagine delle mondine, oltre che alla sua trasmissione e riproduzione nel corso del tempo. Penso in particlare ai filmati sulle mondine presenti presso l’Archivio dell’Istituto Luce, alle fotografie pubblicate sulle fonti a stampa dal fascismo in avanti, e a quelle – assai diverse – che è stato possibile rintracciare presso ex-mondine, in piccoli archivi e biblioteche locali e, talvolta, nelle buste dell’ACS. Ho poi preso in esame romanzi, racconti, novelle e cronache giornalistiche “di costume” per rintracciare modi e forme delle narrazioni relative alle mondine.

Proprio il confronto tra documenti istituzionali da un lato e fonti narrative e iconografiche dall’altro è stato di particolare interesse perché ha consentito non solo di ricostruire le vicende relative al lavoro di monda, ma di carpire le modalità con cui si guardava a queste lavoratrici nei diversi periodi, il linguaggio e la retorica usate per raccontarle, il clima che aleggiava intorno a loro. Ne è emersa una immagine delle mondine molto più sfaccettata di quanto siamo abituati a pensare. Spesso il primo collegamento che ciascuno compie appena le sente nominare è con la Silvana Mangano di Riso amaro e, subito dopo, con le strofe di Siur padrun dale bele braghe bianche10: un volto e delle parole che hanno finito percomporre un immaginario condiviso, che tende a riemergere e a fissarsi in piccoli affreschi di colore ogniqualvolta si parli o si scriva di mondine11. Nello stereotipo foggiato su di loro risaltano in particolare i temi della durezza del lavoro e della militanza: donne occupate in una mansione sfibrante e malsana, combattive e capaci di dare vita a scioperi partecipati persino durante il fascismo. Ma emergono anche riferimenti che afferiscono al loro “modo di essere”: giovani, belle, più franche e disinibite della norma, sia nei rapporti con l’altro sesso sia in quelli con capi e capetti vari. In ogni caso, esse richiamano immagini e valori, storie e lotte di un mondo agricolo ormai scomparso, di stagioni politico-sindacali segnate a fuoco da “appartenenze” esclusive e contrapposte. Ma soprattutto esse rimandano

ad un universo simbolico condiviso, com’è confermato dalla diffusa abitudine ad utilizzare le mondine per suggerire solidarietà fra lavoratrici e attaccamento alle tradizioni popolari, ma anche per dire sfruttamento ed emancipazione attraverso il lavoro12. Ho cercato di comprendere in che modo, e per quali vie, le diverse immagini delle mondine – reali e simboliche – si giustappongono, modificano e slittano le une nelle altre nel corso del tempo. La decostruzione della loro figura non è però un mero esercizio stilistico. Essa assume corpo e significato in quanto aiuta a scoprire e a dare il giusto rilievo al processo attraverso il quale attori sociali strutturalmente “deboli” come le mondine – donne, stagionali, disperse in una molteplicità di aziende – riuscirono a divenire un soggetto forte nell’immaginario collettivo, sia per le proprie azioni sia per il contributo di numerosi altri attori che, riconoscendole come soggetti nelle loro narrazioni, concorsero a «produrre realtà sociale». Non solo. La storia delle mondine si definisce per questa via come la storia di una categoria di lavoratrici salariate che, se commisurata alla configurazione emblematica del lavoro dei “tempi nuovi” – maschile, industriale e stabile –, era oggettivamente debole in quanto femminile, agricola e avventizia; ma che, ciò nonostante, riuscì ad acquistare visibilità e a rafforzarsi nei fatti e nella considerazione generale al punto tale da divenire, nel tempo, un simbolo del mondo del lavoro, femminile e non solo, in Italia. Quella delle mondine è, in qualche modo, una storia di lavoratrici marginali e atipiche che diventano mainstream: e anche per questo la loro storia, letta al di fuori di chiavi meramente celebrative, risulta di particolare interesse, in quanto ci parla anche del mondo del lavoro degli anni Duemila, della necessità di riconoscerlo e di rappresentarlo.

Ed è proprio sospinta da urgenze a me contemporanee che ho ripreso in mano le pagine delle mie ricerche per dare forma a questo volume. Tracciare un filo tra le mondine, precarie della campagna e noi lavoratrici e lavoratori della conoscenza del nuovo millennio, precari della ricerca, è stata, infatti, la molla che mi ha spinto a tornare a riflettere ancora una volta sul mondo del lavoro, guardando al Novecento per guardare anche all’oggi. Scoprire che la storia delle mondine è particolarmente capace di farsi attuale, di condurci avanti e indietro attraverso i decenni e i diritti, mi ha fatto riconoscere quelle donne come storia in carne ed ossa e non solo come fogli e foto conservate dentro un archivio. Attraverso questa scrittura ho davvero sentito il valore del fare storia e del farsi noi stessi soggetti della storia».(03.03.15)

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