Dopo una serie di “rimbalzi” di documenti, osservazioni e controdeduzioni tra Bruxelles e l’ex MIPAAF (Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali) ora MASAF (Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare e Forestale), stanno prendendo forma definitiva gli “ecoschemi” -ovvero i “regimi ecologici” ad adesione volontaria- previsti dalla riforma PAC (reg. UE 2021/2115).
FOCUS SUGLI ECOSCHEMI
Per l’Italia gli ecoschemi saranno 5 e riguarderanno:
Eco1- Zootecnia (riduzione dei farmaci ed aumento di pascolo ed allevamento brado)
Eco2- Inerbimento nelle colture arboree a ciclo pluriennale
Eco3- Oliveti di rilevanza paesaggistica
Eco4- Sistemi foraggeri estensivi
Eco5- Colture a perdere di interesse mellifero
E’ evidente che alcuni dei cinque ecoschemi non hanno alcun interesse per i comprensori risicoli. L’Eco1 potrà interessare diverse aziende dell’areale padano ad ordinamento cerealicolo-zootecnico. L’interesse verso Eco2 ed Eco3 appare alquanto improbabile.
ECO4 – ECO5: SEQUESTRO DEL CARBONIO.
Qualche interesse potrebbe invece essere rivestito da ECo4 e da Eco5, su cui in particolare appare opportuno un approfondimento. L’ecoschema relativo a “Sistemi foraggeri estensivi con avvicendamento” prevede un sostegno alle superfici a seminativo in avvicendamento con colture foraggere, leguminose e da rinnovo. L’impegno richiesto punta sulla gestione dei residui per attuare il “sequestro del carbonio”. Gli aspetti operativi dell’ecoschema non sono al momento molto chiari, ed i prospetti sinottici finora pubblicati non aiutano a “diradare la nebbia”.
Ciò che appare tuttavia evidente è la relativa modestia del contributo (che si stima al massimo in 110 euro per ettaro), il divieto di utilizzo di prodotti fitosanitari se non su colture da rinnovo, ed il fatto che l’adesione a questo ecoschema non comportarà deroghe agli obblighi di rotazione colturale qualora l’azienda aderente vi sia soggetta.
Il “nodo” di questo ecoschema è rappresentato dal mais da trinciato. A riguardo l’Italia vorrebbe fosse ammissibile e su cui l’UE ha forti perplessità. Se il mais da trinciato fosse escluso dall’ecoschema è verosimile prevedere che l’adesione sia limitata ad aree veramente marginali e caratterizzate da bassa potenzialità produttiva.
ECOSCHEMA PER GLI IMPOLLINATORI
Diverso il discorso per l’ecoschema “Misure specifiche per gli impollinatori” attuabile sulle superfici a seminativo o occupate da colture arboree permanenti. Coloro che aderiranno a questo ecoschema dovranno rispettare gli impegni relativi al mantenimento -tramite la semina con metodi che non implichino la lavorazione del suolo- di una copertura dedicata con specie di interesse apistico (nettarifere e pollinifere), spontanee o seminate.
Anche in questo caso è vietato l’utilizzo di prodotti fitosanitari, ma trattandosi di colture “a perdere”, quindi senza alcuna finalità produttiva, questo aspetto potrebbe risultare irrilevante. La considerazione è da vedere in un ottica di breve periodo (in quanto la mancata protezione delle colture potrebbe trasformare queste aree in banche semi di infestanti e ricettacolo di fitofagi e parassiti).
PER L’ECOSCHEMA IMPOLLINATORI 500 EURO
Ciò che rende particolarmente interessante questo ecoschema è l’entita del contributo, prevista in 500 euro annui ad ettaro per le superfici derivanti da seminativo, cumulabili con il contributo di base. Potrebbe quindi essere utile valutare questo ecoschema nelle aree più difficili delle aziende, in quelle dove ad esempio è più complicato gestire la risorsa idrica o in cui le potenzialità produttive sono limitate.
UN’ECOSCHEMA PER RISICOLTORI ATTEMPATI?
L’ecoschema in questione potrebbe inoltre rappresentare una interessante “exit strategy” per quelle aziende (non ne mancano anche nell’areale risicolo) condotte da proprietari un poco “attempati”, magari senza ricambio generazionale, e forse pure psicologicamente stanchi per la continua criminalizzazione dell’agricoltura produttiva in atto da anni. Questi ultimi potrebbero perciò valutare un contributo così rilevante e con costi di gestione modesti (non essendo ammesse le lavorazioni del terreno e neppure i trattamenti fitosanitari l’unico costo è rappresentato dalla semina, che utilizzando specie “autoseminanti” andrebbe comunque sostenuto solo una volta). Insomma, si tratterebbe di una sorta di “canone di affitto” pagato dall’UE senza le “incognite” e gli “incomodi” di una concessione in affitto vera e propria.
REDDITO DI CONTADINANZA E SOVRANITA’ ALIMENTARE
Non dovrà sorprendere quindi un eventuale “successo” di questo ecoschema, magari tale da saturare il plafond piuttosto modesto riservato alla misura (43,4 milioni di euro, appena il 5% del totale riservato agli ecoschemi).
La cumulabiltà del contributo con quello del pagamento di base e probabilmente anche con altri pagamenti che saranno definiti dai nuovi PSR (a cominciare da quelli per il “biologico”) potrebbero infatti indurre diversi agricoltori a destinare l’intera superficie aziendale a queste forme “non produttive”. Obiettivo intascare il corrispondente “reddito di contadinanza” senza esporsi ad eccessivi rischi.
Tuttavia, le ricadute non saranno forse non del tutto conformi alle aspettative sulla “sovranità alimentare” proclamata dalla nuova denominazione del Ministero (ed ancor più sulla sicurezza alimentare, che dovrebbe essere il vero obiettivo di una concreta azione di politica agraria), ma verosimilmente gradite a molti “ambientalisti” ed a larghi strati dell’opinione pubblica. Autore: Flavio Barozzi, Dottore Agronomo.