Nel 1200 nacque il percorso storico della costruzione di una estesa e capillare canalizzazione del territorio oggi risicolo, funzionale alla sua bonifica ed irrigazione. Da allora, si sono succedute innumerevoli alluvioni e siccità. Qui durante una magra della Sesia, scoppiò una “guerra dell’acqua” tra i Conti di Biandrate ed il Comune di Vercelli, quando l’irrigazione serviva solo per l’irrigazione dei prati. A quei tempi le coltivazioni di riso e mais non erano ancora conosciute.
ECCESSIVO CONSUMO DI ACQUA?
L’agricoltura, ed in particolare la risicoltura, è accusata di un eccessivo “consumo” di acqua. L’acqua dolce non è “consumata”, ma utilizzata durante il ciclo di evaporazione, formazione di nubi, piogge, e scorrimento verso il mare. Solo quando finisce nel mare si può considerare “consumata”, non più utilizzabile. Il “valore” dell’acqua è variabilissimo. La variabilità del valore si manifesta così: ampiamente negativo durante le alluvioni, elevato nei periodi siccitosi, quando, limitando l’irrigazione, si riduce drasticamente anche la produzione di cibo. L’acqua dolce non si consuma, la si sporca tramite gli usi domestici ed industriali, impedendone il riuso, se non tramite sistemi di depurazione efficienti.
La densa popolazione italiana richiede molto cibo, prodotto in quantità grazie all’uso irriguo, ed anche molta acqua per gli usi domestici che contribuiscono a sporcarla. I sistemi di depurazione, almeno in Italia, lasciano a desiderare, quando non mancano del tutto.
IL DEFLUSSO ECOLOGICO
Lo scorso gennaio è entrata in vigore la norma del “deflusso ecologico” che impone, tramite la limitazione dei prelievi irrigui, un maggiore deflusso nei fiumi. L’obiettivo è diluire gli inquinanti per ottemperare ai limiti di legge. Ma la limitazione dell’irrigazione riduce la produzione di cibo. Fortunatamente, a seguito della siccità dell’inverno e primavera scorsi questo limite, in via straordinaria, è stato sospeso. Sospensione che, se fatta un mese prima, avrebbe evitato che tanta acqua finisse sprecata nel mare.
IL CLIMATE CHANGE E GESTIONE DEI FIUMI
L’attuale variazione climatica, con l’incremento delle temperature, produce una più rapida evaporazione degli oceani. Quindi maggiori precipitazioni. Pare che il trend degli ultimi anni porti a piogge più rade ed intense e che la contrazione dei ghiacciai diminuisca anche le scorte idriche sulle Alpi, utilissime per l’irrigazione estiva.
Si stima che il ciclo dell’acqua duri due settimane, dall’evaporazione alla formazione delle nuvole ed alla caduta delle piogge. Ci saranno forse piogge molto più intense, che insieme alla mancata manutenzione di fiumi e torrenti creeranno un’intensificazione delle alluvioni. Dopo il boom economico degli anni ’60, che portò a dragare i fiumi al di sotto delle fondamenta dei ponti, la legislazione vietò l’asporto della ghiaia. Ma i fiumi che scendono dalle Alpi trascinano grandi quantità di solidi dal tratto montano, e li depositano raggiungendo la pianura, innalzando gli alvei.
Per tentare di limitare le alluvioni, si continuano ad alzare gli argini, creando fiumi “pensili”. Fiumi che si rivelano disastrosi al cedimento di qualche tratto di sponda. Non potendo controllare le piogge, si può reagire integrando due attività:
- mantenere efficiente la rete di scolo, dai rigagnoli ai fiumi fino al mare;
- costruire invasi in grado di accumulare le quantità di acque in eccesso, riducendo il carico della rete scolante durante le piogge intense utilizzandole nei periodi siccitosi.
GLI INVASI
Trovare spazi per costruire nuovi invasi è molto difficile nella pianura Padana, che è sovrappopolata. La zona risicola piemontese-lombarda già presenta un grande invaso senza sbarramenti né rischi di cedimenti, composto dalla sommersione delle risaie e dalla risalita delle falde sottostanti. Falde che dall’inizio della sommersione si innalzano in tutto il territorio dalla profondità media di -3,5 a quella di -0,5 ÷ 0 metri rispetto al piano di campagna. Si tratta di accumuli di 1,736 miliardi di m3 annui.
Questo si ottiene solo sommergendo le risaie nel periodo di aprile e maggio, quando normalmente il valore dell’acqua è basso, grazie allo scioglimento delle nevi della bassa montagna ed alla piovosità media elevata della primavera. Evento, questo, purtroppo non realizzatosi in questa annata anormale. L’accumulo nelle falde viene restituito al Po da metà agosto in avanti. In questo periodo, in genere, i fiumi sono in magra e la parte sottostante della Pianura Padana ha grandi esigenze irrigue. Perciò il valore dell’acqua è elevato.
L’ultima siccità invernale-primaverile paragonabile a quella attuale risale a 57 anni fa, nel 1965. Se il cambiamento climatico portasse ad intensificare questo tipo di eventi, la risicoltura si troverebbe in grandi difficoltà.
LA RISICOLTURA
La coltivazione del riso della valle del Po richiedeva agli inizi del XX secolo circa 1.200 ore di lavoro umano per ettaro, ridottesi, con le tecnologie attuali, a circa 20. Di queste, 10 servono per la coltivazione vera e propria. Le altre 10 per la manutenzione dei canali aziendali, argini, scoline, livellamento delle camere, controllo della rete. Inoltre, i costi di gestione per la manutenzione dei canali principali e la loro regolazione sono tutti a carico dei risicoltori, per un importo totale stimato di 500 €/ettaro. Queste attività sono fondamentali per la gestione idrologica del territorio, anche a vantaggio di città e paesi del comprensorio, che ne beneficiano gratuitamente.
L’ACCORTO UTILIZZO DELL’ACQUA
Il metodo di sommersione perfezionatosi in sei secoli ha sviluppato una tecnica di riutilizzo dell’acqua, fatta scorrere lentamente sui campi. Esperienze stagionali (aprile-agosto) eseguite su di una camera di un ettaro, forniscono i seguenti risultati.
- ingresso mc 33.500; percolazioni in falda mc 4.200 (12,5%);
- scarico recuperato (in loco denominato “colature”) mc 24.500 (73%);
- evapotraspirazione mc 4.800 (14,5%).
Le percolazioni in falda in parte risorgono nei fontanili e vengono riutilizzate, in parte cedute lentamente al Po. Le colature vengono addotte ai campi sottostanti e riutilizzate più volte prima di finire nel Po. In totale i consorzi irrigui Ovest ed Est Sesia derivano da fiumi e torrenti 230 mc/s e ne somministrano ai territori 600 mc/s. Gli Statuti dei Consorzi irrigui, tutti derivati dal primo Cavouriano del 1857, sono già improntati al migliore utilizzo dell’acqua.
LE LEGGI DELLE FISICA
Il canone irriguo da corrispondere all’Amministrazione centrale è proporzionato alla portata richiesta. Quindi la gestione dell’irrigazione è ben definita, basta applicare bene le regole. Purtroppo quando ci sono forti carenze, nascono contrasti tra gli utenti. Le leggi della fisica e la sistemazione dei canali d’irrigazione forniscono poche ma chiare indicazioni: iniziare la sommersione dai terreni alti, per non disperdere colature ed infiltrazioni nel suolo, che possono essere recuperate nelle aree più basse, e concentrare le portate su aree definite, senza disperderle in mille rivoli. Questo metodo può apparire a qualcuno ingiusto, ma è l’unico modo per ridurre i danni.
In tempi più recenti, per tentare di ridurre l’impiego di acqua in risicoltura, sono state fatte sperimentazioni per migliorarne ulteriormente l’utilizzo:
1 LA SEMINA INTERRATA A FILE
Dopo alcuni anni di sperimentazione si è diffusa la semina interrata a file su terreno non sommerso, specie in Lomellina. Quando il riso emette la terza foglia lo si sommerge fino alla fine del ciclo. Si risparmia l’irrigazione nei mesi di aprile e maggio, quando il valore dell’acqua è basso, vista la piovosità del periodo e la morbida dei fiumi per lo scioglimento delle nevi a bassa quota. Per attivare il rimpinguamento delle falde ed il massimo delle colature e sommergere tutto il territorio servono in media 40 giorni (dai primi di aprile alla metà di maggio), mentre a metà giugno tutte le risaie seminate in asciutta, ed i campi di mais, iniziano a richiedere l’irrigazione, in quantità superiore alle portate disponibili. Allora l’acqua diventa preziosa, non essendo in grado di soddisfare tutti in tempi brevi.
2 LA SOMMERSIONE A TURNI ALTERNATI
Nel 2005 l’Istituto di Idraulica Agraria dell’Università di Torino sperimentò una tecnica di sommersione a turni alternati, confrontando due camere contigue. Una irrigata in sommersione continua come testimone, e l’altra in sommersione alternata. In questa, fu chiuso lo scarico. In presemina venne allagata al livello di 12 cm, poi fu chiuso anche l’ingresso. Ogni volta che la camera si asciugava, ed il potenziale di matrice nella zona radicale raggiungeva il valore di -35÷-45 KiloPascal, fu ripristinato il livello di sommersione a 12 cm.
L’operazione fu ripetuta in media ogni 8÷10 giorni per tutta la stagione irrigua. Risultati: risparmio di immissione del 60%, riduzione della produzione di risone dell’8%. Ma non si produsse nessuna colatura, e si ebbe una riduzione significativa della percolazione in falda. Il commento dello sperimentatore, ing. Lorenzo Allavena, fu che, se la tecnica fosse stata applicata su vasta scala, sarebbe stato necessario a livello aziendale ridurre le dimensioni delle camere, scavare nuove canalizzazioni ed ampliare quelle esistenti. A livello comprensoriale si rendeva necessario modificare radicalmente la rete per adattarla alla distribuzione in assenza di colature. La fascia di risaie che si affacciano sul Po sono attualmente sono servite solo da canali che raccolgono colature, quindi dovrebbero essere dotate di nuovi canali. Un lavoro gigantesco.
3 LA SUBIRRIGAZIONE
La regione Lombardia negli anni 2017 e 2018 finanziò una sperimentazione di subirrigazione, su tre piccole camere di risaia, in tre siti diversi. Si interrarono a circa 30 cm di profondità una serie di tubi di plastica, del diametro di mezzo pollice, con forellini per la somministrazione dell’acqua. Furono posati in parallelo, distanziati tra loro di 80 cm, e fatti sbucare in una fossa in testata, dove furono collegati ad un tubo di adduzione principale. Una motopompa prelevò l’acqua da un canale d’irrigazione, la spinse a 3,5 bar in una serie di filtri, e poi al tubo di adduzione. La motopompa venne messa in funzione ogni volta che il potenziale di matrice scendeva ad una soglia prefissata. Ogni camera fu divisa in due parti, una con pacciamatura di plastica biodegradabile per controllare le infestanti, l’altra diserbata. In entrambi i casi, senza sommersione il controllo delle infestanti fu insufficiente: nel secondo anno la nascita delle infestanti fu moltiplicata.
3.1 SUBIRRIGAZIONE E RISPARMIO IDRICO
Il risparmio idrico fu notevole. Fu somministrato poco più del necessario per l’evapotraspirazione, 5.000 mc/ha. Nessuna colatura, nessuna infiltrazione in falda. A livello comprensoriale, se la tecnica venisse applicata in grande scala, sarebbe necessaria una completa revisione della rete irrigua, e verrebbe a mancare il rimpinguamento delle falde, con il conseguente accumulo delle riserve idriche. L’analisi dei costi rilevò che, per coprire le spese richieste, il prezzo del risone dovrebbe raddoppiare. Con i prezzi attuali dell’energia, il raddoppio non basterebbe. Il consumo del gasolio per le motopompe, che spinsero l’acqua a 3,5 bar, pari a 35 metri di altezza, equivalse a tutta la quantità necessaria alla coltivazione ed essiccazione del risone prodotto, per un impiego di energia pari a 4,8 MJ per ogni kg di riso lavorato.
3.2 SUBIRRIGAZIONE E CICLO DI VITA
Non disponiamo di una analisi LCA (Life Cycle Assesment), da aggiungere ai 4,8 MJ le necessità energetiche della produzione, interramento, recupero e smaltimento, ogni venti anni, di 11,5 chilometri di tubazioni per ettaro e delle motopompe. Se li confrontiamo con i 15,72 MJ che risultano da una analisi LCA sulle attuali tecniche di produzione del riso lavorato e trasferito al consumo, l’impatto ambientale sarebbe significativamente incrementato. Se poi osserviamo la LCA della sola cottura di 1 kg di riso, scopriamo la necessità di 28 MJ: il consumo energetico maggiore. La ricerca, per ridurre l’impatto ambientale della filiera risicola dovrebbe quindi rivolgersi alle attrezzature per la cottura, dove esistono margini importanti per ottenere risultati sostanziosi.
IL CICLO DELL’ACQUA
La fisiologia di tutte le piante prevede l’assorbimento radicale di una soluzione diluita di sali minerali. Per la loro crescita devono quindi assorbire grandi quantità di soluzioni per assumere i nutrienti necessari. L’acqua risultante è restituita all’ambiente tramite l’evapotraspirazione. La genetica finora ha fornito varietà sempre più produttive, che devono nutrirsi di più ed evaporare più acqua. Per il riso, l’acqua è stata misurata all’ingresso delle camere, ma la misura è rappresentativa solo se si considera che l’acqua evaporata dalle piante rappresenta il 14,5% del totale. Il resto, dopo un lungo percorso nelle risaie e nelle falde, costituendo un grande invaso, ritorna gradualmente nel Po.
L’ACQUA DELLE RISAIE TORNA AL PO
Le sperimentazioni fatte su piccole camere danno risultati fasulli, se non vengono rapportati alle dinamiche di tutto il comprensorio. Il 90% della risicoltura italiana è nella parte iniziale del percorso pianeggiante del Po. Quindi tutta l’acqua non utilizzata dalle risaie è restituita al fiume. A beneficio delle utenze sottostanti. Oltretutto, l’irrigazione è fatta tutta per caduta, senza necessità di energia, anzi producendo annualmente, tramite le centraline idroelettriche installate sui canali, 264 mila MWH di energia elettrica. Altro è per le risicolture site ai bordi del mare. Autore: Giuseppe Sarasso, agronomo.