Ferve il dibattito sul decreto legislativo n. 116/2020 che ha escluso, a partire dal 1° gennaio 2021, i rifiuti delle attività agricole e di quelle connesse dall’ambito dei rifiuti urbani a seguito delle modifiche apportate al codice dell’ambiente: il decreto fa riferimento ad una nuova definizione di rifiuto urbano, con un’assimilazione a livello nazionale di determinati rifiuti generati da specifiche attività, con la precisazione che rimangono esclusi i rifiuti derivanti da attività agricole e connesse tra cui, in particolare, cantine, agriturismi e florovivaisti.
La normativa, in vigore dal 1 gennaio 2021, obbliga a conferire i rifiuti ad un soggetto di gestione rifiuti privato: una novità che rischia di impattare negativamente sul settore agricolo e che sembra andare nel senso opposto rispetto agli obiettivi di sostenibilità proposti dalla Comunità europea dato che si rischia di intasare le piattaforme di trattamento dei rifiuti speciali, togliendo materiale utile al ricircolo virtuoso dei prodotti di scarto.
Commenta così Antonio Boselli, presidente di Confagricoltura Lombardia, accogliendo il disagio di tutti i comparti del settore primario: «Se da una parte è necessario approfondire una previsione di costi per l’affidamento del servizio ad un soggetto privato, dall’altra la nostra Confederazione si sta attivando per segnalare alle amministrazioni competenti la necessità di garantire un periodo transitorio che consenta agli operatori agricoli interessati di organizzarsi autonomamente nella gestione di ulteriori rifiuti o di stipulare, in accordo con i Comuni stessi, apposite convenzioni per la gestione dei rifiuti speciali non più assimilati».
Una normativa che colpisce soprattutto il comparto agrituristico che ora deve fare i conti, dopo il duro colpo a causa dell’emergenza sanitaria, con una norma che mette in seria difficoltà le attività connesse, come la ristorazione per gli agriturismi ma anche la degustazione e la vendita diretta di prodotti agricoli.
Incongruenze per lo smaltimento dei rifiuti
Dura la reazione di Gianluigi Vimercati, presidente degli agriturismi di Confagricoltura Lombardia: «Su questo delicato tema chiediamo che venga rivista urgentemente la legislazione perché ci sono evidenti paradossi: i rifiuti organici di un albergo, ad esempio, vengono smaltiti con le normali prassi, mentre l’agriturismo deve adottare delle nuove procedure speciali. Sono quindi chiare le incongruenze con il mondo della ristorazione e siamo in difficoltà perché ad oggi ci viene impedito di continuare ad utilizzare le piattaforme ecologiche in autonomia, obbligando noi operatori agrituristici a nuovi contratti con aziende specializzate. È quindi necessario che le Istituzioni recepiscano questa nostra richiesta perché la filiera è in ginocchio in un momento economico drammatico».
«Ogni ipotesi di revisione della gestione dei rifiuti agricoli deve tener conto della peculiarità delle attività agricole, evitando il rischio di un aggravamento di costi e oneri a carico delle imprese». E’ quanto richiesto dalla Coldiretti al Ministero dell’Economia e delle Finanze nell’ambito della discussione sulle nuove modalità di gestione dei rifiuti agricoli. Coldiretti chiede ora al Mef di definire un regime transitorio che tenga conto del carattere speciale dell’attività agricola, esercitata da realtà imprenditoriali frammentate e differenziate sul territorio, dislocate al di fuori del perimetro urbano, spesso in zone interne caratterizzate da notevoli difficoltà organizzative e logistiche. In tale ottica Coldiretti ricorda come l’esperienza della Tari applicata alle attività connesse, in particolare agli agriturismi, abbia portato molti Comuni ad applicare proprio agli agriturismi le medesime tariffe previste per gli alberghi nonostante il chiarimento operato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 1162 del 2019, secondo cui una tale assimilazione non appare giustificata.
In alcuni Comuni lombardi è già in atto l’interruzione del servizio di raccolta dei rifiuti agricoli assimilati agli urbani e questo problema sta coinvolgendo tutte le attività agricole, tra cui agriturismi, negozi di vendita di prodotti agricoli, aziende orticole e cantine.
Il settore risicolo, pur non esente dall’applicazione della normativa, sembra essere, per ora, abbastanza al sicuro. Questo il commento di Giovanni Daghetta, presidente di CIA Lombardia: «La normativa si inserisce all’interno dei provvedimenti volti al contrasto dell’inquinamento dell’aria. Il problema nasce soprattutto per i viticoltori che devono smaltire i residui delle potature e fino ad oggi sono stati abituati a bruciarle. Lo stesso vale per i giardinieri che non possono più bruciare gli scarti di potatura e quindi devono affidarsi a terzi per lo smaltimento. Sicuramente questo per l’agricoltore è un aggravio di costi.
Il problema può esserci anche per gli agriturismi. Il problema principale dei risicoltori, in questo caso, è quello dello smaltimento delle confezioni dei prodotti fitosanitari ma per questo sostanzialmente non cambia nulla. Questo provvedimento ci tocca solo relativamente». Autore: Milena Zarbà