Nella splendida location dell’Antico Borgo della Certosa di Pavia si è tenuto martedì 26 febbraio l’incontro conclusivo del Progetto TMR, sulla tecnica di coltivazione del riso con trapianto meccanico, sviluppato nel triennio 2016-2018. Un progetto che ha sollevato nel mondo risicolo non poche perplessità (leggi l’articolo), vuoi per i problemi di logistica e gestione del materiale da propagazione, vuoi perché l’esperienza giapponese indica dei limiti, vuoi perché i costi appaiono elevati, vuoi per il generoso finanziamento pubblico accordato al progetto (186.000 euro della Regione Lombardia dei 318.000 complessivi).
I risultati
Ma a Risoitaliano interessano i fatti e i numeri, così come li fornisce chi si assume la responsabilità del progetto. Vediamo dunque cos’è sortito dal lavoro finanziato dalla Regione Lombardia nell’ambito del Piano di sviluppo rurale, Misura 16 (cooperazione), Sottomisura 16.2 (Sostegno a progetti pilota e allo sviluppo di nuovi prodotti, pratiche, processi e tecnologie) secondo la ricostruzione offerta da chi ha ricevuto i finanziamenti pubblici per lavorare sul trapianto meccanico. Alcune attività del progetto, lo ricordiamo, sono incluse nella rete di iniziative dimostrative e sperimentali condotte a livello nazionale all’interno del progetto Risobiosystems, finanziato dal Mipaaf e coordinato dal Crea-Ris, un altro progetto su cui saranno tirate le somme nei prossimi giorni.
Un punto di partenza
Il coordinatore del progetto TMR, Mario Zefelippo, ha aperto la presentazione dei risultati con un intervento introduttivo, dicendo: «Spero che questa non sia la conclusione ma un punto di partenza, per un percorso dove il traguardo è ancora lontano. La nostra idea parte da una tecnica tradizionale come il trapianto e cerca di riproporlo nei tempi moderni, con una tecnica più adatta alle attuali necessità aziendali. Il contesto in cui ci siamo inseriti era economicamente valido, puntando principalmente un mercato, quello biologico, che era in crescita dal punto di vista dei prezzi (175% in più rispetto al tradizionale nel 2017), anche se oggi stiamo vedendo una flessione con un prezzo di circa il 50% in più, come nel 2012. Dal 2012 al 2017 la SAU a RISO BIO in Italia è aumentata del 70,2%, maggiormente in Lombardia, grazie anche alla fiducia della Regione in questo mercato».
Gli obiettivi
Gli obiettivi specifici del progetto sono stati:
- Messa a punto della tecnica del trapianto meccanico;
- Definizione della tecnica di produzione in vivaio delle plantule per il trapianto;
- Definizione delle successive tecniche agronomiche che consentono di attuare idonei interventi di lotta alle infestanti;
- Verifica della possibile creazione di un prodotto con la tecnica TMR “tracciato” a FILIERA CORTA valorizzabile commercialmente sul mercato (Biologico e non).
Macchine inadeguate?
Lo sviluppo delle macchine è stato un punto critico. Ci si è affidati ad alcuni costruttori di fiducia dei titolari della ricerca, partendo dalle macchine utilizzate per questa tecnica in India. «Per consentire alla macchina di mettere correttamente a dimora le piante di riso, il trapianto deve essere effettuato con terreno saturo d’acqua – ha detto Zefilippo – ma non in presenza di uno strato d’acqua. Si utilizzano per il trapianto zolle di piante di riso, simili a zerbini, che per il trasporto vengono arrotolati. Dopo la consegna in azienda devono essere utilizzati subito o srotolati e bagnati. Sulle sarchiatrici ci sono stati diversi problemi, abbiamo sviluppato diversi modelli, sia da bagnato che da asciutta, raggiungendo risultati alterni. Abbiamo adattato macchine indiane grazie al signor Francesco Zuccotti, provato frese che lavorano in acqua e zappette per l’asciutta, senza trovare un mezzo definitivo che speriamo di proporre nella prossima campagna. Uno dei nostri grossi problemi è stato essere puntuali nelle lavorazioni, a causa delle difficoltà oggettive nell’organizzare in modo sempre efficiente l’utilizzo dei macchinari».
Interesse crescente
L’interesse degli agricoltori nel tempo per il progetto TMR è cresciuto, passando da 70 ha nel 2016 a 100 nel 2018 e 250 ella prossima campagna, «un ottimo segnale che ci dà la possibilità di sperimentare in tutto il territorio risicolo. Le varietà più utilizzate sono state Selenio (54%), Ecco 63 e Venere (5% ciascuno). Nel corso dei 3 anni di sperimentazione abbiamo analizzato i risultati relativamente a varietà e densità di semina, capendo che è fondamentale il momento di trapianto e l’efficacia della sarchiatura. Per essere trasparenti abbiamo organizzato diverse giornate in campo, convegni, pubblicato un articolo tecnico e raccolto i risultati sul nostro sito internet (https://tmriso.wordpress.com/). I vantaggi di cui oggi siamo certi sono: impianto con piantine già sviluppate (età 15-24 gg), e quindi maggiormente competitive, più ampia larghezza delle fila (30 cm, con possibilità di effettuare sarchiatura interfila), riduzione ciclo colturale (almeno 3 settimane); elementi che rendono possibile:
– facilitazione nel controllo delle infestanti con i soli metodi meccanici-agronomici: false semine + sarchiature interfila (Agricoltura Biologica);
– riduzione della necessità di utilizzo di prodotti chimici per controllare le malerbe (Agricoltura Integrata) – facilitazione nella lotta al crodo;
– possibilità di coltivazione del riso in seconda coltura;
– risparmio idrico» ha concluso Zefilippo.
Gli “zerbini”
Ha dunque preso la parola Matteo Rossi, Az. Agricola di Mede (PV), partner dal primo momento del progetto: «Quando avevamo pochissime conoscenze, iniziammo con una piccola macchina che non riuscivamo a muovere in risaia, tanto da doverla trainare a mano- ha spiegato -. In 5 anni siamo passati da 1 ha a 250, cosa che ci rende molto orgogliosi. Il mio obbiettivo oggi è raccontarvi la mia esperienza, partendo dagli “zerbini” di riso, che, se non vengono trapiantati subito, devono essere srotolati e bagnati 2 volte al giorno, per evitare infezioni e perdite di vigore. Il terreno deve essere perfettamente livellato per poter avere un velo d’acqua ovunque, non di più, in modo da permettere alla trapiantatrice di lavorare; anche un terreno troppo asciutto è problematico perché non permette alla pianta di radicare. La macchina copre 1 ha ora, alcune volte è complicata la ricarica, cosa che dilata il tempo necessario. Vengono poste dalle 2 alle 4 piante alla volta e servono 2 operatori, uno che guida e uno che pone gli “zerbini”. Dalle nostre esperienze è preferibile dotare la trapiantatrice di guida assistita GPS, per ottenere file più regolari, permettendo poi di seguire la fila anche per lavorazioni successive, come la sarchiatura, e per rendere la guida più stabile. Il momento del trapianto è traumatico per la piantina, che deve adattarsi alle nuove condizioni; per aiutarla è importante gestire al meglio l’acqua in risaia, limitando il livello dell’acqua di sommersione nelle prime fasi per consentire alla pianta di adattarsi all’ambiente acquatico. La distanza nell’interfila è 30 cm e sulla fila va da 12 a 17 cm nelle nostre prove ma può arrivare a 21 cm. Riguardo la sarchiatrice, come detto, abbiamo avuto problemi a trovare il mezzo giusto, quest’anno la ditta del signor Zuccotti ci proporrà un modello perfezionato. In generale credo che sia una tecnica che richieda molta attenzione, dovendo essere tempestivi nel controllo infestanti, che diventano estirpabili solo a mano dopo una certa altezza. Bisogna controllare ogni campo almeno 2/3 volte a settimana e calendarizzare le sarchiature: 18/20 giorni dopo il trapianto la prima, dopo 15 giorni la seconda e dopo altri 15 la terza; con 3 ho raggiunto buoni risultati. L’ultima multi fresa che abbiamo provato (foto di Metrons modificata) è quella che ci ha dato più soddisfazioni, riuscendo a pulire bene l’interfila anche con infestanti un po’ più sviluppate, è utilizzabile anche in acqua anche se necessità di modifiche. Un’ultima accortezza: consiglio di effettuare lavorazioni per la preparazione del letto di trapianto in senso perpendicolare a quello di trapianto, per non rischiare di cadere nelle carreggiate durante la sarchiatura».
Parla Zuccotti
I mezzi indiani sono stati modificati dalla ditta O.M Erea SRL, del signor Zuccotti, che racconta: «Inizialmente, per la lavorazione in acqua, abbiamo preso una sarchiatrice indiana e trasformata per adattarla ai nostri mezzi (foto prima-dopo), capendo che non era adatta alle potenze dei nostri trattori. Quest’anno proporremo un nuovo prototipo, che dovrebbe essere definitivo. Per l’asciutta abbiamo sviluppato quello che io chiamo “bio-diserbatore”, una macchina dagli utensili finali adattabili in funzione della tessitura del terreno. Ora stiamo provando a fare una trapiantatrice a 16 file, la prima italiana, e speriamo di proporla nelle future campagne, siamo fiduciosi di riuscire a creare un mezzo adatto alle nostre necessità. Affittiamo le nostre macchine a chi voglia provare questa tecnica, chiaramente rispettando le richieste di tutti».
Il parere di Vidotto
Il professor Francesco Vidotto, dell’Università di Torino, ha raccontato nel dettaglio l’iter di studi che si è sviluppato nei 3 anni e successivamente proposto alla platea i risultati e le conclusioni di questo progetto: «Abbiamo effettuato gli studi su campi sperimentali, presso le varie aziende partecipanti, e su campi di confronto varietale, strutturati a parcelle. Le rese ottenute sono state molto variabili in tutte le campagne e per tutte le varietà, anche in relazione all’adattabilità della cultivar al trapianto (ad esempio Carnaroli sembra essere poco adattabile), e mediamente di circa 4,5 t/ha. Parlando di quest’ultimo anno abbiamo considerato: campi sperimentali in 21 camere (bio: 97 ha, convenzionale: 4.5 ha) e una prova di confronto varietale dove sono state confrontate 10 varietà, con trapianto a 12 cm e 17 cm sulla fila. Uno degli aspetti più critici è stato il controllo meccanico delle infestanti, per problemi tecnici e di tempismo. Il trapianto è stato svolto per lo più tra la seconda metà di maggio e fine giugno. L’efficacia degli interventi di sarchiatura è risultata sempre molto variabile, in funzione di vari fattori, soprattutto della tempestività di intervento. Abbiamo osservato che è comunque molto importante effettuare almeno due passaggi di sarchiatura. Le produzioni ottenute in camere coltivate in biologico sono state molto variabili: in alcuni casi sono state ottenute produzioni molto basse a causa di una mancata o troppo tardiva sarchiatura, in altri casi, dove si è riuscito ad ottimizzare tutte le pratiche agronomiche (dalla preparazione del letto di trapianto agli interventi di sarchiatura), si sono ottenute produzioni più elevate (mediamente di 4-5 t/ha), a volte confrontabili con le produzioni medie ottenute in sistemi convenzionali. Nel campo varietale seguito nel 2018 abbiamo confrontato i risultati anche relativamente all’investimento di semina (12 o 17 cm di distanza tra le piante sulla fila) capendo che non causava differenze significative, con una produzione media a 12 cm di 4,69 t/ha e a 17 cm di 4,72 t/ha ed una variabilità legata alla varietà. In conclusione credo che sia una tecnica in via di consolidamento, con un graduale aumento delle produzioni medie ma con ancora molta variabilità. Fornisco anche una stima di alcuni costi relativi alla tecnica:
* Ipotizzando diffusione tecnica su dimensioni maggiori delle attuali
Altri costi sono simili a quelli prevedibili per il riso biologico coltivato con tecniche tradizionali (es. fertilizzazione). Il costo dell’attrezzatura specifica (trapiantatrice + sarchiatrice) è di circa 30’000 €».
È stato dunque il turno degli agricoltori coinvolti, in primis chi ha fatto nascere il progetto, il dottor Zafferoni dell’Azienda Agricola La Bertolina di Breme (PV), il quale ha preso la parola in difesa di questa tecnica, che ha dato alcuni problemi in questa sperimentazione, come evidente, ma che necessita, a suo parere, del proseguimento dell’impegno, avendo delle potenzialità future. Anche se il progetto si è formalmente concluso, l’attività di trapianto prosegue: «nel 2019 copriremo con questa tecnica 250ha, mi sembra incredibile pensando dove avevamo iniziato ma è ora che arriva il bello e dobbiamo continuare con il nostro impegno seriamente, avendo anche la fiducia di molti operatori». Vi proponiamo di seguito i futuri obbiettivi e le attività previste, presentati appunto dall’agricoltore lomellino:
Intervento di Biloni
Su quest’ultimo argomento, in particolare relativamente allo studio sulle varietà precoci, è intervenuto il costitutore di Ebano e promotore di questa indagine, Massimo Biloni di Ires, che ha precisato: «In alcune zone temperate riescono a fare 2 raccolti anticipando la semina di una varietà precoce e raccogliendo la stessa varietà due volte, ciò avverrebbe grazie al ricaccio della pianta che deve semplicemente essere aiutato con una concimazione, su cui vengono già effettuati miglioramenti genetici negli USA, come dimostrano i campi verdi di alcune varietà dopo la trebbiatura. Ebano è la varietà che ho da poco costituito, un riso pigmentato a ciclo assai precoce e con buone caratteristiche di ricaccio». L’arricchimento con selenio avviene su richiesta dei produttori della patata Selenella, che forniranno il prodotto per il miglioramento, da utilizzare intorno alla fioritura. Autore: Ezio Bosso