Stefano Bocchi è il docente di agronomia che – con una relazione di cui è coautore Roberto Spigarolo – aprirà la conferenza Orp II, dedicata alla risicoltura biologica, che inizierà il primo settembre a Milano presso l’Expo (Auditorium “Il Centro della Terra” del Parco Biodiversità) per proseguire in Lomellina (Pavia) fino al 4 settembre 2015, presso la Tenuta San Giovanni di Olevano in Lomellina (Pavia), dove saranno effettuate anche delle visite guidate nelle aziende agricole circostanti. A distanza di qualche mese dallo scandalo del finto riso biologico, questo evento offre l’opportunità di chiarire il quadro ed è lo stesso Bocchi a spiegarci come, in quest’intervista esclusiva.
Perché organizzate la conferenza Orp II?
Si tratta di un appuntamento scientifico slegato dalle contingenze del dibattito pubblico, che spazierà dall’agronomia ad altri aspetti, concernenti l’economia, la salute, la produzione. Affronteremo dapprima i temi che riguardano la tecnica colturale a scala aziendale, poi a livello di filiera, poi toccheremo gli aspetti legati all’alimentazione, alla salute e benessere; l’ultima sessione affronta i temi del paesaggio, della biodiversità, dei servizi eco-sistemici, dei beni materiali e immateriali. Il convegno, che si chiuderà con una tavola rotonda, è rivolto non solo ai ricercatori, ma a tutti gli operatori della filiera, del network, del sistema vasto e articolato che riguarda la coltura del riso e ciò perché l’innovazione è oggi basata anche su forme inedite d’integrazione, partecipazione, inclusione e ibridizzazione di temi, capacità, interessi, prospettive, speranze per il futuro. Non posso dire che il tema del finto bio sarà assente, ma sicuramente non rappresenterà un focus della conferenza, che ha caratteristiche scientifiche, per quanto la nostra critica dell’approccio riduzionistico con cui si valuta troppo spesso il biologico costituisca già di per sé una risposta.
Può essere più chiaro?
Partiamo dalla Rivoluzione Verde: ha rappresentato un’innovazione in agricoltura focalizzata soprattutto sui prodotti e sui processi produttivi e ha determinato, per molte aziende, una specializzazione e intensificazione colturale, incrementi di produzione, un crescente ricorso a prodotti di sintesi, acquisiti dal mercato. Ciò ha comportato una progressiva diminuzione di autonomia, un aumento di dipendenza dal mercato di prodotti a elevata richiesta di energia fossile, quindi anche un crescente impatto sulle risorse ambientali per eccessivi, inefficaci e inappropriati utilizzi. Sul piano scientifico, si sono avvantaggiate ricerche molto focalizzate su alcuni, particolari aspetti dei processi produttivi. E’ prevalso ovunque un approccio riduzionistico di causa-effetto, che ha determinato una frammentazione dei quadri di conoscenza scientifica, ma che in molte situazioni è stato diffusamente adottato, inducendo a interpretare l’innovazione come perfezionamento dell’esistente e informando la stessa critica del biologico.
Lei sostiene che esiste un complotto contro il bio?
No, sostengo che certe accuse sono datate o non tengono conto di tutti i fattori. Già alla fine del secolo scorso erano chiari i segnali che l’intero pacchetto tecnologico previsto dalla Rivoluzione verde avesse ormai raggiunto il massimo risultato possibile in termini di ritorno produttivo ed economico per le aziende, e per alcuni autori in diverse situazioni pedo-climatiche ed economiche le performance sarebbero progressivamente diminuite. Oltre agli aspetti economici, sempre nello stesso periodo, furono considerati quelli legato alla qualità; alcune ricerche avevano già messo in luce il fatto che gli incrementi delle concimazioni, in particolare quella azotata, potevano determinare una riduzione rilevante della qualità della granella dei cereali. In questo contesto, L’Organic Farming nacque sia come processo indipendente da tutto ciò, sia come reazione e possibile, efficace risposta al degrado delle risorse, rappresentando un cambiamento paradigmatico e configurandosi come innovazione non tanto di processo produttivo, quanto di sistema: si rivolge all’azienda agraria che è interpretata come un complesso organismo vivente, in continua evoluzione e inserito dinamicamente nel territorio, con il quale dialoga. Un’impostazione radicalmente diversa da quella convenzionale.
In teoria tutto molto bello, ma quando scopriamo, come abbiamo scoperto dalla lettura delle statistiche della Regione Piemonte e della Regione Lombardia, che certe risaie biologiche hanno produttività che fanno impallidire la risicoltura convenzionale e quando poi scopriamo che la maggioranza di coloro che certifica il riso come bio non chiede i contributi pubblici che comportano controlli più rigorosi, insomma quando si scopre tutto questo qualche dubbio che il problema non stia tutto nel riduzionismo viene…
Una conferenza scientifica non è un tribunale e gli scienziati non hanno compiti di polizia giudiziaria. I fatti che avete raccontato e i dati che avete citato saranno analizzati dalle autorità competenti, a noi spetta invece di inquadrare il fenomeno in un momento di evoluzione, per aiutare il dialogo tra tutti gli attori, a partire da quello tra scienza e agricoltori. In questo senso mi permetto di dire che un corretto confronto tra i diversi sistemi produttivi, – convenzionale, biologico, integrato – dovrebbe essere fatto in modo coerente rispetto ai caratteri dei sistemi stessi. Confronti sulle produzioni condotti su parcelle e conclusi dopo pochi anni di attività sperimentale, possono generare considerazioni incomplete, imprecise o errate. Il confronto tra diversi sistemi di produzione dovrebbe essere fatto riferendosi ai sistemi aziendali o alle aree territoriali, e protratto per diversi anni di osservazione. Ancora oggi, ad esempio, sistema convenzionale e organico sono confrontati utilizzando varietà costituite in ambito e per l’agricoltura convenzionale. Alla conferenza spiegheremo come se ne esce, ricordando anche che anche la minore produttività del sistema biologico – fino ad alcuni anni fa quantificata intorno a 30 % o anche valori più elevati – oggi appare più contenuta, al di sotto del 20 %, e variabile in funzione del tipo di coltura. Non vi sono dubbi invece sui vantaggi economici, sulle potenzialità di questo metodo nel concorrere alla soluzione dei problemi globali di sicurezza alimentare e sui benefici ambientali…
Quanti agricoltori hanno scelto questo metodo di lavoro?
Dal 2002 al 2011 sia la superficie, sia il valore del mercato biologico hanno fatto registrare dei rilevanti incrementi nel mondo: la prima è passata da circa 20 a circa 37 milioni di ha, laddove le vendite di prodotti biologici, il cui valore ha raggiunto 52 miliardi di euro, sono aumentate del 170 %. L’Europa e l’Africa sono i continenti dove la superficie coltivata con metodi bio ha registrato i trend positivi più marcati. L’Europa raggiunge la più elevata percentuale sul totale della superficie della superficie coltivata. Il numero di operatori dell’agricoltura biologica, oggi sono ovunque in continuo aumento, ad eccezione del Nord America. Nord America e Europa concentrano gran parte del valore di mercato (90 %), mentre le superfici più ampie non sempre corrispondono alle aree dove si raggiungono i più alti valori economici. Ad esempio, il Nord America copre il 50 % del valore di mercato complessivo, mentre il suo peso in termini di superfici coltivate è intorno all’8%. Al contrario, in altre aree geografiche come Asia, Oceania, America Latina la quota relativa di superfici è di gran lunga più elevata rispetto a quella del relativo mercato. Il dato che emerge è un forte orientamento all’export di molte aree produttrici verso le aree di maggiore domanda, appunto: Europa e Nord America. Inoltre vi sono continenti come l’Oceania in cui il biologico è rappresentato in prevalenza da prati e pascoli con più deboli legami con il mercato.
Qual è la situazione in Europa?
Nel 2012 l’agricoltura biologica in Europa ha interessato 11,2 milioni di ettari (10 milioni nell’UE), pari al 2,3 % del totale delle superfici agricole europee (5,6 % nell’UE). Nello stesso anno si è registrato un incremento di 630.000 ha, pari al 6 % in più rispetto all’anno precedente. I Paesi con maggiore estensione bio sono la Spagna (1,6 milioni di ettari), l’Italia (1,2 milioni di ha) e la Germania (1 milione di ha). Per quanto riguarda l’incidenza delle superfici bio sul totale dell’agricoltura si distinguono Paesi quali l’Austria, la Svezia, e l’Estonia, che arrivano a coprire il 15 – 20 % delle estensioni agricole totali. In Svizzera, Repubblica Ceca e l Lettonia, la quota del bio si aggira intorno all’11-12 % delle superfici totali coltivate nel Paese.
E noi come siamo messi?
L’Italia segue a breve distanza con un peso del 9,1%: è comunque nel gruppo dei primi 20 paesi al mondo in termini di maggiore incidenza percentuale di superficie biologica sul proprio totale coltivato.
Cosa avviene invece in risicoltura?
La superficie coltivata a riso biologico in Italia è negli ultimi anni rimasta costante con poco più di 9.000 ha, quasi tutti concentrati in Lombardia e Piemonte. Questa superficie rappresentava nel 2012 il 3,7 % della superficie totale di riso in Italia, e il 4,3 % (SINAB) del’intera superficie coltivata a cereali biologici ( 210.453 ha ). Se ci si riferisce alle sole due regioni ove è concentrata la produzione la superficie di riso bio, rappresenta più della metà (53,8%) della superficie totale dei cereali bio. La superficie a riso italiano rappresenta il 51,7% del totale EU (dati Eurostat), con questa superficie si copre il 70 % del totale della superficie EU e il 3,8 % di quella mondiale. La produzione di riso bilogico (stimata circa 57.000 t) rappresenta l’11% dell’intera produzione cerealicola biologica italiana (SINAB, 2012). Secondo dati del Ministero (SINAB), il comparto pasta, riso, sostituti del pane, è quello che dal 2012 al 2014 ha fatto registrare il più forte incremento (+ 73%) nei consumi domestici.
Vi è chi sostiene, come Lei sa bene, che questa crescita sia drogata dai comportamenti criminali di chi, coltivando con il metodo convenzionale, ottiene la certificazione bio. A sostegno di quest’accusa vengono portati dati pubblici, che evidenziano un’anomala produttività del riso biologico italiano. La conferenza farà luce su questo punto?
La Conferenza porterà dei solidi argomenti scientifici per dimostrare che è possibile avere delle rese importanti anche con il metodo biologico. Una ricerca del 2014 ha dimostrato ad esempio che il processo di conversione non comporta una riduzione della produzione di riso quando i concimi minerali azotati sono adeguatamente sostituiti con quelli organici e quindi non risulta alcun “technology gap” tra organico e convenzionale. Un’altra, condotta in India e diretta a monitorare i ricavi del bio, ha ravvisato che – su 10 stagioni produttive – dopo i primi due anni di conversione l’indice di sostenibilità è risultato superiore nelle coltivazioni bio… Ma ne parleremo alla Conferenza. (19.08.2015)