Voltata pagina sulla 39esima Fiera in Campo, la risaia si prepara alle semine e torna ad infiammarsi il dibattito. Non che manchi la carne al fuoco. Il collegato agricolo dev’essere ancora approvato alla Camera e poi compiere il proprio iter applicativo, prima che veda la luce la nuova legge sul mercato interno. Questa legge, come abbiamo scritto in passato, non entusiasma molti eppure verrà approvata, perchè i mugugni non si sono trasformati in un’opposizione sindacale. In questo momento, però, bruciano molto di più le ferite aperte dal crollo delle quotazioni dei risoni, che è generalizzato e che rischia di sfuggire di mano agli stessi industriali. Domanda e offerta continuano a guardarsi in cagnesco. Si studiano. Qualcuno, magari, allunga un euro in più al fornitore di riso da parboiled, per convincerlo a vendere e soprattutto ad essere pagato con grande calma; insomma, non ci si muove. (Di seguito il listino di Mortara)
Una situazione che rischia di condizionare le semine e preoccupa, come abbiamo detto, anche l’industria italiana, la quale nelle scorse settimane ha riesumato un progetto della Coldiretti, datato 2014, per aiutare gli agricoltori a ricevere dalla mano pubblica quello che il mercato non intende dare. Questo è il senso, ci pare, del documento che porta la firma di Mario Francese, leader dell’Airi, il quale lo ha inviato ai leader delle confederazioni agricole. L’obiettivo è per l’appunto quello di spostare l’aiuto accoppiato sul riso indica: una specie di iniezione di liquidità per convincere i risicoltori italiani a coltivare le varietà penalizzate dal mercato, sovvenzionandole. Una prospettiva poco entusiasmante per gli agricoltori, i quali temono che la salutare iniezione si trasformi in una meno gradevole supposta, nel senso che, una volta dirottato l’aiuto verso le varietà indica, queste ultime potrebbero scendere ulteriormente di prezzo, erodendo in poche settimane il vantaggio promesso.
Sarà per questo che, presentata con tutti i crismi della serietà dall’Airi, la proposta non ha trovato neanche una sede per essere discussa: l’associazione industriale l’avrebbe fatto volentieri negli uffici romani della Coldiretti, in quel palazzo Rospigliosi che fu edificato dal cardinale Scipione Borghese Caffarelli e che era considerato una sede consona dal presidente dell’Airi Mario Francese. Peccato che, come si sa, Coldiretti e Confagricoltura da anni non accettino neppure di prendere un caffè insieme: la confederazione di Mario Guidi ha proposto dunque un altro palazzo cardinalizio, quello di Andrea Della Valle, dove hanno sede gli uffici di Confagricoltura. Ovviamente, a questo punto, la bonomiana ha declinato l’invito e l’appuntamento è saltato.
A parole, tutti si dicono interessati, ma nei fatti non si arriva al dunque. Vediamo allora cosa propone il documento Airi. Dopo un’analisi dello scenario – “interessante potenzialità espansiva” del mercato del riso Ue e “una prospettiva di aumento dei consumi” sia dei risi indica che japonica – ci si dice convinti che l’Italia potrebbe produrre con prodotto almeno 280mila tonnellate di riso lungo indica e 720mila di japonica (dati espressi in equivalente riso lavorato). Il documento si spinge a dare delle precise indicazioni di semina: nel nostro Paese secondo l’Airi si potrebbero investire 250mila ettari – 75-80mila di varietà tipiche japonica, 45-50mila di ribe, 70-70 di tondo e 60-65mila di indica. Per contro, l’industria osserva con preoccupazione che la crisi dei prezzi ha prodotto un disincentivo a coltivare varietà lunghe indica che “rischia di condurre ad un surplus di riso japonica, i cui consumi non potranno crescere nel breve termine di pari passo con l’aumento produttivo”. Poiché però la produzione di japonica non è in crisi, sarebbe sbagliato starsene con le mani in mano, quindi l’Airi chiede ai sindacati di appoggiare “adeguate iniziative volte ad aiutare e sollecitare un graduale aumento dei consumi”.
Il nodo dei nodi, tuttavia, resta l’indica, il riso più esposto alla concorrenza asiatica. Su questo fronte, il documento Airi ci offre una conferma. Ricordate quando sostenevamo che il dossier Cambogia, scritto dall’Ente Risi per conto del Ministero, si sarebbe rivelato un buco nell’acqua? (http://www.risoitaliano.eu/il-dossier-cambogia-e-fermo/) Ebbene, Francese mette nero su bianco che “i prezzi di mercato del risone non consentono oggi di richiedere l’applicazione di una clausola di salvaguardia per il ripristino dei dazi all’importazione dai PMA”. Quell’oggi ha il senso della pietra tombale: infatti, subito dopo, il presidente dell’Airi specifica che è “comunque necessario mantenere alta l’attenzione sulle importazioni da Cambogia e Myanmar, che stanno evidenziando forti potenzialità in assenza di regole che ne possano limitare l’esportazione verso l’UE”.
Abituiamoci alla marea gialla, insomma, e cerchiamo di inventarci delle contromisure, che l’Airi individua nella Pac: «al settore – scrive – vengono oggi erogati 22 milioni di euro in aiuti accoppiati PAC il cui precipuo obiettivo è quello di aiutare i comparti in crisi. Questo aiuto è marginale per le varietà japoniche, peraltro non in crisi e i cui prezzi si mantengono su livelli altamente remunerativi. Per queste varietà è necessario progettare un qualificato piano promozionale mirato e pluriennale, attingendo da risorse comunitarie e nazionali, per incrementarne ulteriormente i consumi. La concentrazione delle risorse di aiuto accoppiato per il comparto del riso indica, che è in crisi, potrebbe invece validamente stimolarne le semine». Questa è solo la premessa del piano, che viene esplicitato come segue. «Oggi i 22 milioni di euro distribuiti a tutto il settore su 227 mila ettari, equivalgono a circa 15 euro per tonnellata di risone. Un aiuto che certamente non influenza le scelte dei produttori di varietà japonica. Se i 22 milioni fossero concentrati sui 60-65 mila ettari del comparto lungo indica equivarrebbero a circa 50 euro a tonnellata, che garantirebbero un incentivo interessante per il mantenimento di una adeguata produzione, migliorandone la competitività rispetto al prodotto d’importazione».
Il documento affronta anche altri aspetti del problema, sui quali ci soffermeremo in futuro, ma la polpa del ragionamento di Mario Francese è questa: visto che noi non possiamo darvi di più, cari risicoltori, alleiamoci per convincere il governo, da cui dipende la ripartizione dell’aiuto accopiato, ad aiutare l’indica. Giusto? Sbagliato? Non spetta a noi dirlo. A noi spetta diffondere le informazioni che riusciamo a verificare, perché tutti i risicoltori siano informati, e con questo spirito illustriamo il documento Airi e registriamo le reazioni che esso provoca. Già, perché, a sorpresa, una reazione in questi giorni c’è stata. Innanzi tutto, una lettera è stata inviata da Agrinsieme al Ministro Martina «in merito alla paventata ipotesi di revisione delle disposizioni relative alla PAC; in particolare, Agrinsieme ha affrontato – riferisce una nota di Confagricoltura Milano – le tematiche degli aiuti accoppiati e delle superfici a pascolo. Riguardo agli aiuti accoppiati, Agrinsieme ha sottolineato che, prima di proporre qualsiasi modifica/correzione, è necessario avere un riscontro dei risultati a cui si è giunti con le regole attuali nel primo anno di applicazione della PAC, e quindi occorre assolutamente poter disporre in tempi brevi dei dati relativi all’assegnazione degli aiuti accoppiati 2015; in ogni caso Agrinsieme è contraria ad una modulazione degli importi unitari degli aiuti, per non creare discriminazioni tra imprese, magari proprio a scapito di quelle di maggior dimensione». Una presa di posizione che non rafforza di certo il piano Airi e che ha preceduto di qualche giorno la bocciatura esplicita del piano, espressa della sezione provinciale riso di Milano-Lodi-Monza di Confagricoltura. Con una lettera al Presidente Confederale Guidi, al Presidente della Federazione Nazionale Riso Gallarati Scotti e al Presidente Boselli in merito alla proposta presentata da Airi di assegnazione dell’aiuto accoppiato per il riso alle sole varietà di riso Indica, la sezione ha espresso «la sua decisa contrarietà a tale proposta, per diversi motivi: 1) di carattere economico, poiché l’assegnazione dell’aiuto ai soli risi Indica non garantirebbe affatto la tenuta dei prezzi del risone, nè del riso Indica, né del riso Japonica; 2) di carattere “ambientale”, poichè la richiesta alla UE di poter ottenere un aiuto specifico al riso è stata basata sul presupposto di voler salvaguardare una coltivazione, nel suo complesso, che esercita sull’ambiente e sul territorio un ruolo di preservazione delle risorse naturali». La Sezione ha concluso la lettera affermando che la risicoltura italiana va sostenuta «nel suo complesso, senza discriminazioni per quanto riguarda il premio accoppiato e rammaricandosi che la posizione della Federazione Nazionale della Risicoltura non sia in linea con tale principio». (07.03.2016)