Da quest’oggi inizia a scrivere su Risoitaliano un personaggio decisamente fuori dall’ordinario: il dottor Mabuse. Per chi non lo conoscesse, è un personaggio partorito dalla mente del romanziere Norbert Jacques e divenuto famoso grazie all’omonimo film espressionista di Fritz Lang. Il dottor Mabuse non è precisamente un personaggio equilibrato ed equanime, ma ha il pregio di entrare in profondità nelle questioni che affronta e di raccontarle con disincanto. Lo leggiamo con piacere insieme a voi a partire da quest’analisi del noto caso del glifosate e della multinazionale Monsanto…
«Ormai ci si è messo anche il vecchio cantautore canadese Neil Young. A breve uscirà un disco dal titolo “The years of Monsanto”, che fra versi e musica attaccherà il colosso agrochimico statunitense, diventato un bersaglio facile per chiunque ci si dedichi con un po’ di veleno sulla coda. Monsanto è ormai una parola passepartout per discutere di tutto ciò che all’opinione pubblica non va giù. La parabola dell’azienda è piena di vicende che hanno scatenato polemiche a non finire. Ultima, ma non meno importante, la presa di posizione dello IARC (International Agency for Research on Cancer), un braccio operativo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che, nel marzo 2015, ha incluso l’erbicida glifosate – il principio attivo per la protezione delle piante più usato al mondo – fra le sostanze probabilmente cancerogene per l’uomo. Lo IARC avrebbe valutato l’erbicida basandosi su studi epidemiologici svolti prevalentemente su agricoltori degli Stati Uniti, Canada e Svezia.
Oggi il glifosate è un erbicida generico, poiché il brevetto detenuto da Monsanto è scaduto all’inizio del XXI secolo. Vi è dunque un alto numero di produttori del principio attivo e, oggi, la Cina la fa da padrone vendendo la sostanza un po’ a tutti, incluse le aziende tacciate di “controllare” questo erbicida.
La posta in gioco è molto alta. Grazie all’uso combinato delle biotecnologie e della chimica, Monsanto ha creato alla fine degli anni 90, delle varietà di mais, soia e colza resistenti al glifosate. Laddove le colture geneticamente modificate resistenti al glifosate sono state approvate, esse hanno comportato una notevole semplificazione dei processi di coltivazione oltre ad ingenti benefici economici sia per gli agricoltori che per la Monsanto, che aveva ottenuto i brevetti su queste nuove tecnologie.
Grazie agli OGM, Monsanto ha per qualche anno accarezzato l’idea di concentrarsi sull’ingegnerizzazione dei semi e di trascurare la ricerca sulla chimica. Il suo slogan per promuovere le piante transgeniche era concentrato sull’espressione “pesticide reduction” ovvero riduzione dell’impiego della chimica nei campi. Un principio che avrebbe potuto avvicinare la “cattiva” multinazionale ai “buoni” ambientalisti. Ma l’impresa non è riuscita: gli OGM, soprattutto in Europa, sono stati oggetto di campagne di demonizzazione che hanno coniugato l’intoccabilità di Madre Natura con i “mostri” creati dall’uomo. All’epoca si parlò del cibo di Frankenstein, un accostamento particolarmente azzeccato a livello di comunicazione, e capace, da solo, di spaventare l’opinione pubblica che, vivendo in città, non ha molta dimestichezza con l’evoluzione dell’agricoltura.
Ecco perché la presa di posizione dello IARC può diventare letale per il business di una società come Monsanto, la quale ha reagito in modo vibrato, ma restando isolata di fronte agli attacchi provenienti dai diversi attori sociali ed economici. Per rispondere allo IARC si è scomodato nientepopodimeno che il capo mondiale della ricerca, Robert Fraley, l’uomo che per primo ha modificato geneticamente la soia, protagonista assoluto delle scoperte sulle biotecnologie negli anni 90 e uomo-chiave nel successo planetario delle colture transgeniche, passate in 20 anni da 1,6 a 181 milioni di ettari. Fraley ha dichiarato di essere in disaccordo con le conclusioni dello IARC, dato che le autorità sanitarie tedesche – incaricate di una nuova valutazione sulla sicurezza che prelude alla ri-registrazione del principio attivo prevista per il 2016 – hanno concluso che sia poco probabile che il glifosate possa provocare il cancro negli esseri umani. Fraley ha anche accusato lo IARC di aver esaminato una letteratura vecchia e di non aver tenuto conto dei dati scientifici più rilevanti. Insomma botte da orbi a cui lo IARC ha risposto per le rime.
Da questa querelle sono partite diverse interrogazioni parlamentari, in Italia e in altri paesi europei, mentre le associazioni di produttori del biologico hanno chiesto la messa al bando del glifosate. C’è da dire che la replica di Monsanto allo IARC non è del tutto priva di fondamento, ma resta il fatto che il tono usato dall’azienda e l’isolamento nell’esprimersi non aiuta la causa né della Monsanto né degli agricoltori.
La messa al bando del glifosate, infatti, comporterebbe numerosi problemi anche per i coltivatori italiani; se questa misura venisse presa la produttività dell’agricoltura convenzionale subirebbe danni che, al momento, non possono essere compiutamente valutati, ma che sarebbero verosimilmente ingenti. E’ per questo motivo che la Coldiretti di Brescia – da sempre un nemico giurato di Monsanto e degli OGM – ha preso le distanze dalla posizione dello IARC, affidandosi al responso delle autorità regolatorie che hanno autorizzato il principio attivo e che difficilmente, a questo punto, si esprimeranno contro.
Prendendo esempio da Coldiretti – non si offenda nessuno dei due… – Monsanto dovrebbe forse cambiare strategia di comunicazione: diciamo che dovrebbe essere più diplomatica nel rispondere per non essere tacciata di arroganza e di manie di persecuzione. Non dimentichiamo che nel 2010 proprio delle previsioni eccessivamente ottimistiche sulle vendite del glifosate sarebbero state all’origine di migliaia di licenziamenti, anche in Europa dove sarebbe stato sacrificato un effettivo su tre. Chi non ama Monsanto ha gioito, ma il paradosso industriale è che la più simbolica delle multinazionali agrochimiche e agrobiotech oggi non ha un portavoce in Italia, cioè nel Paese dell’Expo che detterà l’agenda agricola del decennio. Una conseguenza dell’arroccamento che adesso paga Monsanto ma che alla lunga pagheranno anche gli agricoltori europei perché l’assenza di player di questo calibro dal mercato non è comunque un bene». Autore: Dottor Mabuse (23.04.15)